Collaborazioni e alleanze solo con chi si dimostra pro Ue, al fianco dell’Ucraina e della Nato. È una Ursula von der Leyen carica e con le idee chiare quella che si è presentata in conferenza stampa, a Bruxelles, con il presidente del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber. La presidente della Commissione, Spitzenkandidat del Ppe che insegue un secondo mandato a Palazzo Berlaymont, detta la linea, anticipa alcuni punti del programma e risponde anche alle domande su una possibile alleanza di destra all’interno delle istituzioni europee.

Porte aperte nel Ppe
Le dichiarazioni che hanno fatto maggiore scalpore sono, come era prevedibile, quelle sulle alleanze in seno alla Plenaria. La cosiddetta ‘maggioranza Ursula‘, con Popolari, Socialisti e Liberali, rimane la soluzione più percorribile se si guarda ai sondaggi, ma in una parte del Ppe rimane viva la speranza di uno spostamento a destra che sostituisca i Socialisti con l’Ecr di Giorgia Meloni. Von der Leyen non chiude alcuna porta, ribadisce di essere disposta a lavorare “con chi è pro Ue, pro Nato e pro Ucraina, con chi sostiene i valori democratici“, anche se sembra guardare più a una coalizione centrista. Quando le viene chiesto se accetterà i voti conservatori quando la sua nomina dovrà essere votata al Parlamento Ue, l’ex ministra tedesca è stata chiara: “Sappiamo che ogni elezione europea porta dei cambiamenti nella composizione dei diversi partiti e dei diversi gruppi parlamentari. Contano i contenuti e chi difende la democrazia contro gli euroscettici, chi difende i nostri valori contro gli amici di Putin. Questi sono quelli con cui intendo lavorare”. Per von der Leyen è “impossibile” lavorare con chi è “contro lo Stato di diritto” e con “gli amici di Putin”. E chiude con parole che suonano come avvertimento a Ecr che, dopo il voto, dovrebbe chiudere l’accordo per accogliere nella famiglia conservatrice il partito di Viktor Orbán: “Non sappiamo chi formerà l’Ecr dopo le elezioni, né quali gruppi lo lasceranno e, per esempio, si uniranno al Ppe, cosa che è possibile”.

Le parole di von der Leyen confermano che il mercato dei partiti a Bruxelles è entrato nel vivo. E le più attive sono le famiglie di destra. Ecr ha scoperto le sue carte più importanti ufficializzando l’entrata di Reconquête, la formazione di estrema destra francese guidata da Éric Zemmour che potrebbe raccogliere circa 6 seggi, e opzionando per il post-voto anche Fidesz di Orbán. Scelte, soprattutto quella relativa al premier ungherese, che hanno anche provocato critiche interne, con il rischio di un’emorragia, più o meno grave, di partiti verso altre famiglie. I primi a protestare sono stati i membri del Partito Democratico Civico della Repubblica Ceca (quattro seggi all’Eurocamera), ma il problema sembra già rientrato, secondo quanto apprende Ilfattoquotidiano.it. Mentre le stesse fonti ipotizzano l’uscita dei Democratici Svedesi e dei fiamminghi belgi di N-Va, in totale sei seggi in Parlamento, almeno per adesso. Tutti in protesta con l’eventuale ammissione di Fidesz. Un’acquisto che potrebbe compromettere anche una possibile alleanza Ppe-Ecr: “Orbán è il problema. È la voce di Putin nell’Ue. Non possiamo avere il veto di una persona che blocca sanzioni, allargamento e riforme. Dobbiamo arrivare nel futuro al voto di maggioranza e superare l’unanimità, così non ci potrà più ricattare”. Parola di Manfred Weber, uno dei membri dei Popolari che fin da ultimo ha cercato di evitare l’espulsione del premier ungherese dalla più grande famiglia europea.

Ma proprio Weber offre uno spunto su un altro partito che potrebbe decidere di lasciare Ecr, i Veri Finlandesi (2 seggi): “Quello che vedo è che si sta sviluppando una battaglia interna crudele – ha detto il presidente dei Popolari – Quando Orbán ha detto di voler entrare in Ecr infatti i cechi hanno detto di non voler essere nello stesso gruppo di Orbán. Anche i partiti populisti svedese e finlandese hanno subito detto, a causa del dibattito sulla Nato, che non vogliono stare dalla stessa parte con Viktor Orbán”.

La guerra di seggi e alleanze ha coinvolto anche Identità e Democrazia, la formazione di estrema destra nella quale si trovano anche la Lega di Matteo Salvini e Rassemblement National di Marine Le Pen. In questi giorni, il partito della politica francese, sempre più in ascesa, ha ufficializzato la candidatura dell’ex capo di Frontex, Fabrice Leggeri, dimessosi dalla direzione dell’agenzia dopo le accuse di frodi e respingimenti illegali. Anche qui siamo di fronte a un ‘travaso’, dato che la nomina di Leggeri, nel 2015, venne sostenuta proprio dal Ppe. Oggi, col suo nome che non rientra più nei canoni imposti da von der Leyen, l’unica famiglia che poteva accoglierlo, soprattutto dopo gli scandali sull’immigrazione, era proprio quella di Id.

Weber rinuncia al Berlaymont?
Al fianco di von der Leyen, alla conferenza stampa, si vede colui che da ormai due mandati aspira a diventare presidente della Commissione. Bocciato da Spitzenkandidat del principale partito europeo nel 2019, quest’anno sperava di salire al Berlaymont seguendo proprio la strada percorsa cinque anni fa dalla presidente uscente: sfruttare la volontà della tedesca di correre per la segreteria generale della Nato, per la quale è forte anche il nome dell’olandese Mark Rutte, per subentrare in corsa al suo posto. Intanto, però, deve rimanere qualche passo indietro: “Siamo orgogliosi di avere von der Leyen come unica candidata del Ppe per la presidenza della Commissione Ue – ha detto – Abbiamo avuto una lunga discussione oggi e possiamo annunciare che il Ppe supporta la sua candidatura. Von der Leyen ha dato risultati e l’Ue è stata in buone mani fino a oggi, per questo è logico che sia il nostro candidato e il prossimo presidente della Commissione Ue”.

La linea da seguire, dice, è quella tracciata già nel 2019, alla quale vanno aggiunte le esigenze nate in seguito ai principali eventi degli ultimi cinque anni, dalla Brexit al Covid, fino alla guerra in Ucraina: “Come europei siamo orgogliosi di ciò che facciamo con il Green Deal, anche per me come leader politico del Ppe. Noi siamo il partito del Green Deal. Faciamo il Green Deal con le proposte di Ursula von der Leyen. Abbiamo indicato la direzione verso la quale dobbiamo andare con la convinzione che il Green Deal sia un accordo del Ppe e che lo facciamo nell’interesse delle generazioni future”, ha detto. Resta da vedere cosa rimarrà dalla grande riforma green europea immaginata da von der Leyen nel 2019. Nei suoi discorsi, la presidente uscente sembra già meno radicale rispetto al passato: “Dobbiamo aumentare la nostra competitività, raggiungere gli obiettivi climatici coniugandoli con l’economia“.

Twitter: @GianniRosini

Articolo Precedente

Von der Leyen si ricandida. Il discorso: meno “green” e più Difesa. Tra i “nemici” cita il gruppo Ue di Salvini ma non quello di Meloni

next
Articolo Successivo

Elezioni europee, non capisco perché concedere il voto fuorisede solo agli studenti

next