Gli appelli della comunità internazionale a Israele perché fermi i bombardamenti? Nel disegno di legge che il Senato federale americano ha appena votato sono stati bloccati i finanziamenti all’Unrwa, si dà luce verde a più aiuti militari a Israele e si impone un controllo più severo sugli aiuti a Gaza. Quindi, non so bene di quali pressioni concrete della comunità internazionale stiamo parlando, al di là delle frasi di circostanza”. Così, ai microfoni di Effetto Giorno (Radio24), Lorenzo Kamel, professore di Storia Contemporanea all’Università di Torino e uno dei massimo esperti della questione israelo-palestinese, commenta il no del premier israeliano Benjamin Netanyahu agli appelli dell’Occidente affinché riconosca lo Stato della Palestina e cessi il fuoco.

Lo storico, autore di Terra Contesa e di Israele-Palestina. Due storie, una speranza, sottolinea: “Io so solo che giorni fa un istituto israeliano ha pubblicato uno studio in cui viene mostrato che alla data del primo gennaio 2024 il numero dei coloni israeliani in Cisgiordania è aumentato di 68mila unità negli ultimi 4 anni. E so anche che il 26 febbraio cade il primo anniversario del progrom di Huwara, un villaggio in Cisgiordania dove lo scorso anno i coloni israeliani hanno scatenato l’inferno, bruciando auto e case anche con persone all’interno. Però lo scorso anno nessuno ha fatto alcuna pressione per fermare queste dinamiche”.

Al conduttore della trasmissione, Alessio Maurizi, che gli chiede perché gli Usa, l’Ue e il ministro italiano degli Esteri Tajani a voce criticano l’azione di Israele a Gaza senza riuscire nei fatti a fermare Netanyahu, Kamel risponde facendo un parallelismo col caso Regeni: “In Italia ci sono state proteste enormi per sapere la verità, anche con l’esposizione di tanti politici, però sappiamo anche che ci sono interessi strutturali legati alle armi e al petrolio per il quale siamo in prima linea in Egitto con le nostre società di energia. Quindi – continua – diamo un segnale contrastante: da un lato, chiediamo ad Al Sisi la verità sull’omicidio di Giulio Regeni, dall’altro, nei fatti concreti, per noi il regime di Al Sisi può continuare tranquillamente a fare quello che vuole perché i nostri interessi sono troppo strutturali per metterli in dubbio. Dobbiamo sempre stare attenti alle parvenze: è vero che le voci di protesta contro Israele stanno crescendo, ma poi c’è la realpolitik“.

Kamel, infine, si pronuncia sul tanto sbandierato mantra del “due Stati per due popoli”: “Quando si costruisce un edificio, si parte sempre dal primo piano, non dal tetto. Il primo piano è la valutazione dei due popoli, poi si può pensare a federazioni e a tanto altro. Se la comunità internazionale poi non va nel concreto a fare pressioni perché ciò avvenga, anzi sono parte strutturale dei problemi in loco, ovviamente quello dei due popoli e dei due Stati diventa uno slogan, per giunta dannoso, perché permette alla parte più forte di continuare le proprie politiche sul territorio”.