Non si sentono “all’altezza di questa vita”. Potrebbe essere questa la sintesi del drammatico aumento negli ultimi anni “degli episodi depressivi e ansiosi, delle oscillazioni dell’umore, delle psicosi e dipendenze da sostanze o comportamentali (internet), autolesionismo, disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, isolamento in casa, aggregazione in bande”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Claudio Mencacci, copresidente Sinpf (Società italiana di neuropsicofarmacologia) e Direttore emerito di neuroscienze al Fatebenefratelli – Sacco di Milano).

I numeri del disagio

D’altronde gli ultimi dati palano chiaro, con un aumento del 30% dei disagi mentali soprattutto tra i più giovani. La prevalenza di questi disturbi sta per superare quella delle patologie cardiovascolari. Nell’ultimo rapporto dell’Unicef emerge che 1 ragazzo su 7, tra i 10 e i 19 anni, convive con un disturbo mentale diagnosticato; tra questi 89 milioni sono ragazzi e 77 milioni sono ragazze; 86 milioni hanno fra i 15 e i 19 anni e 80 milioni hanno tra i 10 e i 14 anni. In Italia, nel 2019, si stimava che il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze fra i 10 e i 19 anni, circa 956mila, soffrissero di problemi di salute mentale.

Secondo poi lo studio “L’era del disagio”, realizzato da Inc Non Profit Lab, in collaborazione con Astraricerche e con il patrocinio di Rai per la Sostenibilità, in Italia il 60% delle persone afferma di convivere con un disagio psicologico; di questi il 75% è rappresentato da giovani della generazione Z (di cui l’81% sono ragazze). Quali sono i disagi più ricorrenti? Al primo posto c’è il disturbo del sonno (32%), seguito da ansia (31,9%); stati di apatia (15%); attacchi di panico (12,3%); depressione (11,5%) e i disturbi dell’alimentazione (8,2%). È un indicatore allarmante è la ricerca, nel 29,4% di persone, di provare a farcela da soli. Magari prendendo farmaci senza prescrizione (27,6%). E che i più giovani, quelli della generazione Z, siano lasciati troppo soli con i loro problemi è il dato del 10,8% di ragazzi tra i 15 e i 24 anni che prendono psicofarmaci senza prescrizione medica“. Lo farebbero per diverse ragioni: “per dormire, dimagrire ed essere più performanti negli studi”. Ed è proprio tra gli studenti che la percentuale di chi usa psicofarmaci sale al 18%.

Tutti problemi che partono da più lontano, visto che numerosi studi evidenziano che il 78% dei bambini che ricevono una diagnosi di disturbo mentale, come l’ansia, è a rischio di sviluppare disturbi più gravi nelle fasi di vita successive. Gli adolescenti con un disturbo mentale diagnosticato hanno un rischio sei volte superiore di disturbi da adulti. “La pandemia ha notevolmente aumentato i casi di disagio nei giovani, con aumento di ansia, depressione, disturbi del sonno, panico”, continua Mencacci. E nonostante questo, al compimento dei 18 anni si perde il diritto a usufruire delle prestazioni nell’ambito della neuropsichiatria infantile, tra cui anche la frequentazione dei centri diurni per adolescenti, rendendo dunque la transizione tra i vari servizi di cura complessa e critica. E poi alla fine del percorso scolastico, si perdono anche le figure di supporto e sostegno all’interno della scuola.

Occhi puntati sui social

Secondo gli psichiatri, sarebbe in atto una “policrisi”, una sorta di “tempesta perfetta” costituita dalla compresenza di post pandemia, guerra, inflazione e turbolenze sociali che stanno facendo da detonatore al disagio mentale. Ma c’è un altro elemento che desta sempre più preoccupazione. Secondo la ricerca di Demoskopika pubblicata in questi giorni, sarebbero oltre 1,1 milioni gli under 35 anni a rischio elevato di dipendenza da social media con i giovanissimi tra i più esposti alle insidie comportamentali della rete che peserebbero per quasi il 40% sul totale. Lo studio rivela alcuni comportamenti preoccupanti: dal bisogno di usare sempre più frequentemente i social media, all’incapacità di smettere di usarli. E, ancora, dai comportamenti ansiosi o agitati per il mancato utilizzo dei social media alla riduzione delle ore dedicate allo studio e al lavoro per il loro eccessivo impiego.

In particolare, i giovanissimi compresi nella fascia di età tra i 18 e i 23 anni, che rientrano nell’area “High Addiction”, ossia con un alto rischio di livello patologico di dipendenza, sarebbero oltre 430mila, pari al 38% del totale, seguiti dai 390mila individui di età compresa tra 24 e 29 anni (34,5%) e, infine, dagli under 35 “più adulti” (30-35 anni) che supererebbero di poco i 308mila soggetti maggiormente esposti. “I dati rilevati sul campo”, commenta il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio, “confermano una preoccupazione, oltre che nella comunità scientifica, anche tra i diretti interessati, i giovani, sui rischi comportamentali legati all’utilizzo eccessivo e pervasivo dei social”.

Una generazione che non dorme

“La domanda che oggi tutti ci poniamo è: come le nuove tecnologie hanno iniziato a cambiare il modo in cui pensiamo, come l’età di Google sta cambiando il nostro cervello?”, sottolinea Mencacci. “Il cambiamento tecnologico è così accelerato, corre oggi a una velocità senza precedenti che potrebbe creare un mondo di cui possiamo solo iniziare a immaginarne i contorni. Per ora questo porta, soprattutto nei giovani, a tre conseguenze: perdita di sonno, stress emozionali, cyberbullismo. Oggi i ragazzi tra gli 8 e i 18 anni espongono il loro cervello a otto ore e mezza di stimolazione al giorno, tra digital e video. L’uso elettronico dei media e il sonno nei bambini in età scolare e negli adolescenti ha un grande impatto. L’utilizzo dei dispositivi elettronici in camera da letto, soprattutto prima di coricarsi, aumenta l’eccitazione mentale ed emozionale, inoltre l’esposizione alla luce artificiale degli schermi ritarda il ritmo circadiano”.

Tutti questi fattori portano a ipotizzare che l’incremento negli ultimi anni di patologie collegate allo stress siano l’espressione di un ambiente sociale che invia stimolazioni di tale intensità che superano le possibilità dell’individuo di gestirle. Con un’altra drammatica conseguenza, il ricorso a soluzioni che “potenziano” le capacità psichiche, “come per esempio sostanze stupefacenti di tipo eccitatorio o ‘ansiolitici’ in grado di facilitare la gestione degli stress: alcol, oppioidi, in alcuni casi farmaci o alcuni tipi di relazioni patologiche”, continua Mencacci. “Si può allora ipotizzare che la tendenza alla creazione di nuovi legami ipertrofici (come le dipendenze) sia facilitata dall’ansia associata alle nuove realtà sociali e tecnologiche e che i giovani, i ‘nativi digitali’, siano i più esposti a questi rischi”.

Che fare?

“Campagne di sensibilizzazione nelle scuole, screening per disturbi mentali, maggiore informazione ai genitori, riconoscimento precoce dei disturbi”, sottolinea ancora Mencacci, “con la creazione di equipe multidisciplinari sono le varie risposte da incrementare per affrontare questi problemi, coinvolgendo le istituzioni e avendo chiaro in mente che la salute mentale è un diritto fondamentale. Un lascito di civiltà alle future generazioni”.

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