Alcuni giorni fa Amit Sousana di Kfar Aza, rilasciata dopo 55 giorni di prigionia, ha parlato per la prima volta della sua esperienza: “Il mio rapimento è stato molto violento. Ho continuato a resistere finché alla fine mi hanno legata per le gambe e le braccia e mi hanno trascinata via. Sono stata picchiata duramente, avevo la faccia e il corpo gonfi e pieni di lividi. Sono stata anche tenuta da sola per un paio di settimane. C’era poco cibo, i guardiani erano pesantemente armati e hanno abusato di me e degli altri ostaggi. Sono stata anche tenuta in un tunnel di Hamas profondo 40 metri dove non c’era ossigeno e pochissimo cibo. Il tunnel era come una tomba, buio e umido, e ci sembrava di essere sepolti vivi. Siamo stati tenuti in condizioni disumane. Non ci era permesso parlare o piangere e neppure consolarci a vicenda…”.

Come è possibile, dopo testimonianze di questo genere, continuare a credere in un futuro di pace con i palestinesi? Come è possibile credere nell’umanità dopo il 7 ottobre? Come continuare a credere che l’accordo avvenga rapidamente e gli ostaggi possano tutti tornare a casa? Per i parenti degli ostaggi la paura per il destino dei loro cari sale di giorno in giorno, e così la loro richiesta di accordo e il loro urlo sempre più concentrato: “Ahshav!” (adesso) “kulam” (tutti), mentre le testimonianze di chi è tornato diventano più esplicite.

Ma c’è chi la pensa diversamente. Tzvika e Efrat Mor, i genitori di Eitan, rapito e ostaggio a Gaza, hanno fondato il “Forum della speranza” (forum hatikwa) che si oppone alla liberazione di terroristi palestinesi in cambio di ostaggi perché -dice Efrat- si rischierebbe di scarcerare centinaia che possono uccidere migliaia come è successo con Sinwar, liberato insieme ad altri 469 prigionieri nello scambio per un soldato, Gilad Shalit.

La pensa così anche Diza Or, madre di Avinatan, il compagno di Noa Argamani, ormai tristemente famosa per il video di Hamas in cui annuncia la morte di due ostaggi fotografati il giorno prima con lei. Per giorni con simpatizzanti, rappresentanti della destra israeliana e del “Forum della speranza”, hanno bloccato l’ingresso degli aiuti umanitari al valico di Kerem Shalom dichiarando che nulla entrerà fino a che l’ultimo dei rapiti non sarà liberato.

Eppure il sogno di pace non è morto. Lo raccontano alla emittente Kan 11 alcuni dei parenti delle vittime. Lo ha detto Yonatan Zeigen, figlio di Vivian Silver, uccisa il sette ottobre e nota pacifista, lo ha ribattuto Ilana Kaminka, madre di Yanai, soldato morto combattendo contro Hamas il 7 ottobre: “Nessun muro è abbastanza alto se non troviamo una soluzione che dia speranza alla gente da entrambe le parti”, ha affermato. Yaakov Godo, il padre di Tom, ucciso da Hamas il 7 ottobre ha invece dichiarato di non volere vendetta, mentre Maoz Yanon, figlio di Bella e di Yacovi, entrambi trucidati, ha un solo obiettivo: che il sacrificio dei suoi genitori sia un sacrificio di pace.

I prossimi giorni saranno decisivi per l’accordo sugli ostaggi. Il premier Netanyahu dovrà scegliere tra coloro che credono che solo la guerra potrà liberarli e coloro che credono il contrario. Se decidesse per l’accordo e la liberazione di un grande numero di prigionieri palestinesi, potrebbe cadere la sua alleanza con la estrema destra messianica. Sarebbe ora.

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