Mentre dalla Spagna arriva la notizia che oltre metà dell’elettricità arriva dalle rinnovabili, in Italia il dibattito si concentra sul nucleare. Sulla produzione ma, soprattutto, sulla scelta del territorio che dovrebbe ospitare il deposito nazionale delle scorie radioattive (leggi l’approfondimento su iter e ritardi). Dopo la pubblicazione da parte del Governo Meloni della Carta Nazionale delle Aree Idonee nella quale si indicano 51 siti in sei regioni, ufficialmente ritenuti idonei per ospitare il deposito di scorie nucleari, molti territori hanno ribadito il proprio ‘no’. Sei le regioni interessate (Basilicata, Puglia, Lazio, Piemonte, Sardegna e Sicilia) e di ora in ora si allarga il fronte dei comuni contrari. Nel frattempo, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha chiamato la squadra di Viva Rai 2, chiedendo di leggere in diretta una sua precisazione rispetto al tema delle scorie, affrontato da Fiorello il giorno prima. E spiegando che l’Italia non prende scorie da altri Paesi, ma che il deposito nucleare serve per stoccare le scorie a bassa intensità, “quelle che sono anche negli ospedali”. Sono state individuate “51 aree e ne verrà selezionata una sola” ha scritto Fratin. Quello che il ministro non precisa, però, è che non c’è la fila tra questi territori per accogliere il deposito. Tanto che la Cnai appena pubblicata include anche la possibilità di autocandidature di quei comuni le cui aree sono state ritenute non idonee fino ad oggi. Il ministro questo non lo ricorda, ma lo ricorda Legambiente, parlando del “solito pasticcio all’italiana”.

Il fronte del ‘no’ al deposito – Nel deposito dovranno finire le scorie a bassa e molto bassa attività prodotte finora nel nostro Paese e che lo saranno nei prossimi 50 anni. Circa 50mila metri cubi di questi rifiuti derivano dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica, altri 28mila dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria. “La Regione Basilicata ribadisce il proprio no all’individuazione in territorio lucano dei siti per i rifiuti radioattivi. La nostra posizione non cambia e non cambierà” ha affermato l’assessore all’ambiente ed energia della Regione, Cosimo Latronico. “La Puglia è categoricamente contraria a ospitare la sede del deposito nazionale di rifiuti radioattivi” ha detto Anna Grazia Maraschio, assessora regionale all’Ambiente, ricordando che nell’area fra Gravina in Puglia, Altamura e Laterza vengono prodotti nove alimenti e undici vini a denominazione controllata e protetta. In Sardegna il consiglio regionale ha convocato per il 21 dicembre gli Stati generali per ribadire la sua contrarietà, mentre continuano le proteste nel Trapanese e nell’Alessandrino. “Mi auguro che nessun sindaco del Lazio candidi il proprio Comune a ospitare il deposito” ha detto il governatore, Francesco Rocca. Ed anche Trino, il comune in provincia di Vercelli che si è candidato a ospitare il deposito, è nato un comitato contro la struttura. Oltre al fatto che si sono detti contrari sia il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, sia il presidente della Provincia, Davide Gilardino.

Pichetto corregge Fiorello. Ma non dice tutto – E mentre nelle regioni interessate si scatenano le preoccupazioni, il ministro Pichetto Fratin ha chiesto allo showman Fiorello di leggere in diretta alcune precisazioni sul tema, trattato il giorno prima e sul quale erano state dette delle informazioni inesatte. E Fiorello: “Facciamo ammenda”. E ha letto la rettifica di Pichetto: “Il Ministro ci ha spiegato che ogni nazione europea è obbligata ad avere un deposito nucleare di scorie a bassa intensità, come quelle che si trovano negli ospedali. L’Italia non ce l’ha. A questo riguardo sono state identificate 51 aree, ma alla fine ne verrà scelta una sola”. “Tra i vari Comuni partirà uno ‘Scoria’s got talent’” ha poi ironizzato Fiorello. Al di là delle battute, la realtà è che tra i Comuni non c’è una gara a chi ospiterà il deposito, tutt’altro. E, di fatto, alla storia manca un pezzo.

Un iter complesso che rischia di finire nel cestino – Perché nel 2021 Sogin aveva pubblicato una prima Carta di 67 aree potenzialmente idonee (Cnapi), che era il risultato di un complesso processo di selezione su scala nazionale svolto in conformità a 28 criteri stabiliti dall’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare. Sono state scartate così le aree che non soddisfacevano determinati requisiti per la tutela dell’uomo e dell’ambiente, in primis in base a criteri di esclusione e, poi, in base a criteri di approfondimento. Con i criteri di esclusione sono state scartate le aree vulcaniche attive o quiescenti o contrassegnate da sismicità elevata o interessate da fenomeni di fagliazione o, ancora, a particolare rischio idrogeologico. Sono escluse le aree naturali protette, quelle oltre i 700 metri sul livello del mare, a meno di 5 chilometri dalla costa, con presenza di miniere e pozzi di petrolio o gas, di interesse agricolo, archeologico e storico. Poi, su questa prima lista di 67 siti, è stata aperta una consultazione pubblica con gli enti locali e i cittadini interessati. Un lavoro complesso e lungo, che ora potrebbe finire nel cestino.

Legambiente: “Quel pasticcio all’italiana” – Perché dato che nessun Comune si è fatto avanti, a novembre il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge Energia, dando la possibilità agli enti locali italiani di autocandidarsi per ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti nucleari. Potranno farlo, quindi, anche quelli non inclusi nella Cnai. Per Legambiente si tratta del “solito pasticcio all’italiana”. “Ma perché mai i territori di questi Comuni, se prima non soddisfacevano gli stringenti requisiti richiesti in fase di valutazione, ora invece potrebbero essere ritenuti ‘idonei’ ad ospitare il Deposito nazionale delle scorie nucleari?” commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Per l’associazione “si è imboccato un incomprensibile ‘percorso parallelo’ a quello seguito finora, solo per dare modo ai Comuni scartati di ritornare in pista con proprie autocandidature”. E ricorda il caso del Comune piemontese di Trino, dove il sindaco, Daniele Pane, non ha mai nascosto il suo interesse ad avere sul proprio territorio il Deposito Nazionale “nonostante sono ben sei i criteri che avevano determinato la sua esclusione. Per quale motivo ora potrebbe proporsi ufficialmente per essere scelto?”.

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