Marco (nome di fantasia) ha 55 anni e si aggira tra gli stand della fiera del lavoro di Torino con il curriculum in mano. È un operaio, un carrellista con trent’anni di esperienza. Ma da quando nel 2018 la fabbrica dove lavorava, la ex Embraco, ha chiuso è ancora a spasso. “Ho spedito 562 curriculum e ho fatto oltre 150 colloqui, ma ogni volta è la stessa storia – racconta l’operaio al fattoquotidiano.it – mi dicono sempre che ho 55 anni e dunque…”. Al massimo qualche lavoretto di qualche mese tramite le agenzie interinali. E così in questi cinque anni ha provato a sopravvivere prima con la cassa integrazione e poi con la disoccupazione. Settecento euro al mese. Ma a febbraio finirà anche quella, e oltre quella c’è il vuoto. “Eppure non ho perso il lavoro – spiega Marco – me l’hanno scippato”.

Quello di Marco è un destino comune per gli oltre 350 donne e uomini che lavoravano con lui alla Ex Embraco di Riva di Chieri, nel torinese. Un simbolo delle reindustrializzazioni promesse in pompa magna dalla politica e mai partite . “Si scrive reindustrializzazione, ma si legge raggiro – dicono i lavoratori e le lavoratrici in una lettera aperta redatta soltanto pochi giorni fa – il copione è sempre lo stesso. Arrivano i licenziamenti, la chiusura, la delocalizzazione. Si fa qualche sciopero, qualche dichiarazione indignata, qualche presa di posizione forte ma dopo appena qualche settimana si inizia a convincere l’opinione pubblica che non si può impedire a una multinazionale di scappare. E sul più bello spunta una manifestazione di interesse, un compratore”. A Riva di Chieri è andata proprio così. Dopo mesi di stallo nel 2018 si palesa un compratore, la Ventures, una newco italo-israeliana. Il piano di reindustrializzazione viene annunciato con entusiasmo. “E all’inizio ci siamo fidati – ricorda con amarezza Marco che all’epoca, insieme ai suoi colleghi, ha rinunciato a una buonuscita da 60mila euro – come potevamo non fidarci quando si impegnavano il Ministero dello Sviluppo Economico, Invitalia e il presidente della Regione?”. Secondo il piano di reindustrializzazione, l’azienda che prima produceva motori per frigoriferi avrebbe dovuto riconvertirsi nella produzione di droni pulitori di pannelli solari.

“Così, mentre tutti si concentrano sul compratore, di solito anonimo e misterioso – proseguono i lavoratori – la multinazionale scappa e nessuno la obbliga nemmeno ad una discussione chiara su cosa vende e sulla garanzia della continuità occupazionale e produttiva”. Intanto gli operai passano sotto la nuova proprietà, Ventures. Per prima cosa lo stabilimento viene svuotato, ma le linee nuove non arrivano. “Passavamo il tempo a dipingere le pareti e a montare e smontare biciclette elettriche – ricorda Marco – era chiaro che ci stavano prendendo in giro”. Chi doveva controllare non lo ha fatto. “E così il nuovo compratore poi si dilegua al momento opportuno. E tu rimani lì, nel limbo. Il vecchio padrone è scappato, quello nuovo non c’è. E finisci per implorare ancora un po’ di ammortizzatore. E invecchi. Invecchia la tua professionalità, la tua convinzione, la tua determinazione” scrivono i lavoratori. E quella che doveva essere una “reindustrializzione” diventa “una truffa”. Nel 2020 la vicenda passa nelle mani della magistratura e porterà nel 2023 a un patteggiamento a quattro anni per i vertici di Ventures. Secondo l’accusa, avrebbero sottratto somme di denaro destinate alla riconversione e al rilancio dello stabilimento produttivo.

Nel frattempo un altro tentativo di reindustrializzazione, quello della Italcomp, finisce nel nulla. E a pagare sono i lavoratori che hanno in media tra i 45 e i 55 anni. Troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchi per ricollocarsi. Soltanto una ventina su oltre 350 ha trovato un lavoro stabile. Tutti gli altri vivono in un limbo fatto di cassa integrazione, ammortizzatori sociali e lavori saltuari. “Ma non è vita” spiega al fattoquotidiano.it Maurizio, operaio specializzato. Alla ex Embraco ha lavorato per oltre vent’anni. E si è ritrovato a cinquant’anni a dover ricominciare da capo con colloqui per trovare lavoro al massimo per qualche mese. “Ma non è che puoi lavorare solo 3-4 mesi – dice – la luce, il gas, gli, affitti e i mutui, li devi pagare. Se no perdi la casa, come è capitato a molti di noi”.

La rabbia più grande è rivolta però alla politica. “Noi li abbiamo incontrati tutti: Salvini, Meloni, Di Maio, Gentiloni, Conte, Calenda, Giorgetti, Patuanelli, Todde, Tajani. Che fine hanno fatto?” si chiede Maurizio ricordando i giorni di gennaio e febbraio 2018. La campagna elettorale per le politiche era in pieno e tutti i leader di partito facevano la gara a farsi fotografare insieme ai lavoratori della Ex Embraco. “Ci dicevano ‘non vi lasceremo soli’ ma dove sono finiti? Da destra a sinistra, tutta la politica che veniva fare la loro vetrina elettorale che fine ha fatto? E sono anche stufo nel vedere politici senza scrupoli utilizzare queste vicende per fare passerella e dare false illusioni solo per raccattare qualche voto da parte degli operai disperati”. In questi sei anni si sono alternati cinque governi. Ma nulla è stato fatto, anzi. Le crisi industriali si sono moltiplicate sempre di più in tutta Italia. Soltanto a Torino e dintorni ci sono oltre mille posti di lavoro a rischio. “E adesso quello che è accaduto a noi sta accadendo ad altri”, racconta l’operaio. Ma ora non c’è più tempo: a febbraio scatta la fine della disoccupazione per tutti loro. “Servono azioni vere e serie da parte di tutti, in primis da chi dirige il Ministero del Made in Italy – concludono i lavoratori – ad oggi l’unica cosa che ho visto è una lunga fila di ex-lavoratori che sono diventati dei fantasmi”.

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