A Bruxelles i tempi sono sempre più stretti. Anzi, resta solo l’appuntamento del 18 dicembre per trovare l’accordo sul Patto migrazione e asilo al centro del negoziato tra Consiglio, Commissione e Parlamento Ue. La riunione del 7 dicembre poteva essere la volta buona o almeno quella decisiva. “Non vedo grandi problemi al trilogo, i colegislatori non sono sulla stessa linea ma l’atmosfera è serena, sono fiduciosa che raggiungeremo un accordo”, aveva detto la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson al Consiglio Interni del 5 dicembre. Ma a quanto riferiscono al Fatto alcuni funzionari Ue, “le cose sono andate molto, molto male”. Invece di sciogliersi, alcuni tra i nodi decisivi si sono addirittura complicati e tra Parlamento e Consiglio i toni si sono inaspriti. L’obiettivo dell’approvazione entro fine legislatura sembra tutt’altro che “a portata di mano“, come la Commissione vorrebbe lasciar intendere.

Al centro del trilogo del 7 dicembre cinque file del Patto. Si va dalla banca dati Eurodac delle impronte digitali dei richiedenti asilo, al delicato dossier sulla gestioni delle crisi migratorie. Il Patto è stato presentato dalla Commissione europea più di tre anni fa e fin da subito è stata chiara la difficoltà di mettere d’accordo i tanti attori in gioco, a partire dai governi degli Stati membri. Per questo l’anno scorso è stata definita una tabella di marcia che permettesse ai negoziatori di raggiungere l’accordo sui regolamenti mancanti in tempo utile. Com’è andata? “Si è conclusa una maratona di 15 ore di triloghi sul Patto Migrazione-Ue. Sono stati fatti importanti progressi. Con il lavoro continuo e la determinazione possiamo risolvere le restanti questioni fondamentali di solidarietà e responsabilità”, ha twittato ancora la Johansson sui lavori appena conclusi.

Ma chi la maratona l’ha fatta parla di un clima ben diverso, dove a naufragare sono stati anche i tavoli sui dossier apparentemente più semplici. Quello sul Regolamento Eurodac, modificato con l’introduzione del riconoscimento facciale per i maggiorenni e la rilevazione delle impronte digitali estesa ai minori di 6 anni, tra i pochissimi punti concordati, “è saltato dopo appena un quarto d’ora“. Al netto delle dichiarazioni di facciata, essere ottimisti era difficile. Sull’Eurodac, Consiglio e Parlamento divergono su utilizzo e accesso alle banche dati. Sul Regolamento screening discutono sull’uso facoltativo da parte degli Stati e sul monitoraggio dei diritti fondamentali. Per il Regolamento sulle procedure di asilo, le fonti Ue sintetizzano così: “Non c’è accordo su nulla“. In particolare, le divergenze vanno dalle procedure accelerate per la valutazione delle richieste di protezione, al concetto di Paese terzo sicuro, che Stati come l’Italia vorrebbero adottare per evitare di ammettere le domande d’asilo di chi vi è transitato. Questioni di governance e solidità finanziaria restano dibattute in merito al Regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione. Infine il Regolamento sulla crisi, con dispute sull’ambito di applicazione, sul processo decisionale, sul meccanismo di solidarietà e sulle possibili deroghe alla normativa comunitaria.

A quanto riferiscono fonti dell’Eurocamera, “a mancare è stata proprio la volontà di mediare: nessuna delle tre istituzioni ha lavorato per questo, per trovare possibili convergenze”. E se il Parlamento prova a mostrarsi fiducioso sulla possibilità di approdare a un risultato nel trilogo del 18 dicembre, gli addetti ai lavori confessano di essere “pessimisti“. Lo stesso trattato tra Roma e Tirana, un approccio inedito e pieno di incognite all’esternalizzazione del diritto d’asilo, risentirà dell’esito dei negoziati in corso. Ma il destino del Patto ha molto a che fare con l’appuntamento delle elezioni Ue e le destre europee, a questo punto, potrebbero volersi giocare il fallimento in funzione elettorale. E perché no, puntare a negoziati più favorevoli alle proposte del Consiglio. Una su tutte, l’estensione delle procedure di frontiera che comprendono il trattenimento, magari grazie a un nuovo Parlamento di diverso colore. Nondimeno, c’è chi considera l’approvazione del Patto targato Commissione e Consiglio come “uno storico inchino ai populisti di destra”. E’ il parere dell’eurodeputata tedesca Cornelia Ernst (Die Linke): “Il Consiglio rifiuta di esentare le famiglie dalle procedure di frontiera e vuole rinchiudere i bambini alle frontiere esterne. Insiste sul concetto di “strumentalizzazione” da inserire nel regolamento sulla crisi. Questo concetto è un cavallo di Troia di cui gli Stati membri abuseranno per fare dell’eccezione la regola. Così facendo, comprometteranno completamente il diritto d’asilo. Poiché non è stato raggiunto un accordo definitivo, la resa dei conti avverrà il 18 dicembre”.

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