Un quarto dell’umanità, due miliardi di persone, vive nella morsa del debito e non può permettersi di contrarre altre prestiti con i Paesi ricchi. Non può farlo neppure se questo significasse salvarsi dai cambiamenti climatici, perché l’alternativa è tagliare la spesa pubblica pur di rimborsare i Paesi industrializzati e affrontare una crisi di cui non sono responsabili. È in questa situazione che, però, si trovano i Paesi più poveri e vulnerabili rispetto agli effetti dei cambiamenti climatici, spesso lacerati dai conflitti. Ed è per questo che c’è sempre più consenso da parte di molte nazioni a favore di una riforma dell’architettura finanziaria e del debito. Gli aiuti erogati tra il 2019 e il 2020 sono stati in media di 13,64 dollari all’anno per abitante. Cifra che crolla a 6,68 dollari a persona se si guarda ai soli finanziamenti destinati ai Paesi dove sono ancora in corso conflitti. Con enormi disparità: si va dai 1.083 dollari all’anno per abitante delle isole Tuvalu, a 0,67 dollari per persona in Siria. “Aiuti, comunque, che sono del tutto insufficienti anche se considerati complessivamente” denuncia Oxfam in un rapporto pubblicato in occasione della Cop 28, che rivela come oltre la metà dei finanziamenti verso questi Paesi siano stati erogati sotto forma di prestiti o altre forme di finanziamento del debito, con l’effetto di costringere Stati già poverissimi ad indebitarsi sempre più. In occasione della Cop 28, Oxfam lancia perciò un appello affinché gli aiuti per il clima a questi Paesi siano erogati sotto forma di sovvenzioni e non di prestiti, “aumentando gli aiuti diretti ai Paesi in conflitto e alle organizzazioni locali, rafforzando la collaborazione tra gli attori umanitari, le organizzazioni che si battono contro il cambiamento climatico e per costruire la pace”.

Un quarto dell’umanità nella morsa del debito – Nel 2022, ventinove Paesi in queste condizioni sono stati classificati a rischio medio-alto di sofferenza debitoria. Nonostante ciò, quasi il 10% dei finanziamenti per il clima è arrivato sotto forma di prestiti non agevolati, ossia senza la concessione di condizioni preferenziali, come la previsione di tassi di interesse più bassi o di periodi più lunghi per i rimborsi. Solo poco più del 41% del totale è stato erogato sotto forma di prestiti agevolati. Per colpa dei debiti contratti, secondo le stime di Oxfam, nei prossimi 5 anni il 57% dei Paesi più poveri del mondo, dove vivono 2,4 miliardi di persone, dovrà tagliare la spesa pubblica per un totale di 229 miliardi, mettendo a rischio servizi vitali per non peggiorare i livelli di povertà. Tutto questo avviene nei territori meno preparati a rispondere ai disastri climatici. Il Burkina Faso ne è un esempio, in preda all’emergenza climatica e con due milioni di persone in fuga da fame e guerra. “Gli aiuti necessari a fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico non dovrebbero stritolare i Paesi più poveri e vulnerabili in una spirale di debiti” spiega Safa Jayoussi, policy advisor di Oxfam per la giustizia climatica in Medio Oriente e Nord Africa. E aggiunge: “È ora di abbandonare i vecchi modelli di finanziamento che soddisfano le preferenze dei donatori per passare a soluzioni basate sui bisogni dei Paesi e delle comunità colpite”.

Cosa si sta decidendo alla Cop 28 – Ma la questione del debito pubblico e del suo impatto negativo sulla transizione energetica, è sul tavolo in questi giorni a Dubai, anche se sarà ancora più centrale nell’agenda della Presidenza brasiliana del G20 del 2024. E sono diverse le pressioni sugli Stati ad alto reddito affinché, attraverso il loro ruolo di creditori e la loro influenza sulla Banca mondiale, possano contribuire a fornire sgravi del debito o prestiti con condizioni meno punitive. Nel corso di una conferenza stampa con la ministra tedesca per lo Sviluppo, Svenja Schulze, l’inviato speciale del Climate Vulnerable Forum per il Ghana, Henry Kokofu, ha chiesto un Piano Marshall per la riduzione del debito, mentre al padiglione della Colombia con la partecipazione, fra gli altri, della ministra colombiana dell’Ambiente Susana Muhamad e di Adriana Abdenur, consigliera speciale del presidente brasiliano Lula da Silva, il dibattito si è concentrato sulle forti disuguaglianze nel sistema finanziario internazionale, che per i Paesi più indebitati, specialmente quelli in via di sviluppo, si traduce in tassi di interesse insostenibili che in certi casi rappresentano il 10% della spesa pubblica. In queste ore, Regno Unito, Francia, Banca Mondiale, Banca Africana di Sviluppo, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e Banca Inter-americana per lo sviluppo hanno annunciato che amplieranno l’uso di clausole di debito resilienti al clima nei loro prestiti e di essere pronti a sospendere il debito quando i paesi vengono colpiti dai disastri naturali. Londra ha annunciato la prima di queste clausole di debito resilienti al clima, in Africa, con il Senegal, ma sono 73 i Paesi che invitano all’azione sull’adozione di questo strumento. Sempre su questo fronte, Francia e Giappone hanno sostenuto la proposta della Banca africana di sviluppo e della Banca interamericana di sviluppo di sfruttare i diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale per il clima e lo sviluppo. Sono i primi passi, di un percorso obbligato per non continuare a vanificare il lavoro fatto sui finanziamenti e per ricucire un rapporto di sfiducia tra Nord e Sud del mondo, strumentalizzato all’occorrenza.

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