Adesso non ci sono più alibi, nei procedimenti penali o civili per l’inquinamento da Pfas e nelle iniziative che le amministrazioni pubbliche devono assumere contro l’inquinamento industriale da sostanze perfluoroalchiliche. Il Pfoa, l’acido perfluoroottanoico, è certamente cancerogeno, tanto da essere inserito nel gruppo 1 delle sostanze che possono causare tumori. Il Pfos, l’acido perfluoroottansulfonico, è invece “possibilmente” cancerogeno, così da essere inserito nel gruppo 2B. A queste conclusioni è arrivato un gruppo di lavoro composto da 30 scienziati di 11 paesi che ha effettuato una sintesi durante un incontro avvenuto nella sede dello Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, a Lione. I risultati del lavoro saranno pubblicati sulla rivista Lancet Oncology tra qualche settimana, ma nel frattempo è stata diffusa una anticipazione che annuncia quello che dovrebbe costituire un punto fermo nella valutazione del legame tra Pfas e insorgenza dei tumori, da anni oggetto di dibattito scientifico.

Si tratta di una questione di grande attualità in Italia, in particolare in Veneto, dove è in corso un procedimento penale a carico di 15 manager della società Miteni di Trissino (Vicenza). Sono accusati di essere stati responsabili, in un arco di qualche decennio, dello sversamento nella falda idrica che corre nel sottosuolo del Veneto di quantità tali di Pfas da inquinare gli acquedotti che approvvigionavano decine di comuni nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Interessate sono almeno 300mila persone, che portano ancora nel loro organismo le sostanze riconducibili ai Pfas, difficilmente eliminabili. Inoltre, a Vicenza è stata archiviata un mese fa l’inchiesta a carico degli stessi manager della Miteni per omicidio colposo e lesioni colpose ai danni dei lavoratori della stessa azienda, costretti a convivere con i fumi e le esalazioni delle sostanze chimiche trattate. L’archiviazione decisa dal gip (su proposta della Procura) si è basata in buona parte sulla difficoltà di attribuire un legame certo tra Pfas e patologie, sostenendo che la comunità scientifica non è arrivata a conclusioni certe.

Adesso la ricerca dello Iarc mette un punto fermo. I Pfoa sono considerati cancerogeni per gli esseri umani, mentre per gli animali è emersa una evidenza sufficiente. I Pfos sono stati classificati nel gruppo 2B (a cui appartenevano in precedenza i Pfoa) in quanto “possibilmente” cancerogeni. Lo studio sarà pubblicato nella monografia numero 135 dello Iarc e illustrerà gli utilizzi industriali dei Pfas, oltre ad analizzare le correlazioni con alcuni tipi di tumore, in particolare quelli del rene e dei testicoli. “Nelle comunità che si trovano vicino ai siti inquinati la popolazione è generalmente esposta soprattutto attraverso l’acqua che beve. Le quantità di Pfoa e Pfos sono presenti nel sangue a livelli di centinaia di volte maggiori rispetto alle altre popolazioni. Sono state trovate tracce non solo nel sangue, ma anche nella placenta, negli embrioni e nei tessuti. Le sostanze possono essere trasferite ai bambini anche attraverso il latte”. La ricerca conferma la trasmissibilità da mamme a neonati e conferma che i Pfas determinano una minore reazione dei vaccini, oltre a una maggiore vulnerabilità alle infezioni.

La notizia dello studio cade nella stessa settimana in cui al processo in corso a Vicenza ha testimoniato il consulente Philippe Grandjean, docente di Medicina Ambientale presso l’Università della Danimarca Meridionale, all’Università di Boston e ad Harvard. Grandjean ha chiarito come le aziende produttrici di Pfas fossero a conoscenza fin dagli anni ’70 degli studi sugli effetti tossici di tali sostanze su animali ed esseri umani, ma li hanno tenuti nascosti e resi pubblici solo dopo il 2000. Ha dichiarato che “esiste una documentazione sostanziale che dimostra una chiara associazione tra esposizione a Pfas ed effetti avversi sulla salute umana nella popolazione generale, soprattutto a livelli elevati, come quelli osservati nella “zona rossa” del Veneto. L’esperto ha definito queste sostanze come “il nuovo amianto”, in quanto non provocano danni acuti, ma a lungo termine.

La ricerca dello Iarc ha provocato numerosi commenti. Cristina Guarda, consigliere regionale di Europa Verde: “Si tratta di una svolta importante perché impedisce ancora una volta di minimizzare e chiudere gli occhi sulla pericolosità di queste sostanze. Alla luce di questo sensibile incremento del rischio sanitario da esposizione, ritengo inaccettabile che nelle zone rosse o arancioni del Veneto si continui a rendere discrezionale e a pagamento l’allacciamento al servizio acquedottistico”. I consiglieri regionali dem Andrea Zanoni, Anna Maria Bigon e Chiara Luisetto: “Per il governo del Veneto è finito ogni alibi. Si mettano subito in campo azioni per l’accelerazione delle bonifiche e per la prevenzione sanitaria”.

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