Il via libera al contratto di servizio della televisione pubblica spacca l’opposizione. La commissione Vigilanza sulla Rai ha approvato il parere sul documento che disciplina l’attività svolta da viale Mazzini: a favore hanno votato il centrodestra e il Movimento 5 stelle, mentre contrari i parlamentari del Pd, Italia Viva, Verdi e Sinistra. Azione, invece, si è astenuta. La questione del contratto di servizio aveva già provocato polemica visto che nella nuova bozza per gli anni 2023-2028 era stato eliminato il riferimento al giornalismo d’inchiesta, mentre era spuntata l’inedità promozione della natalità. I 5 stelle hanno argomentato il loro via libera del testo sostenendo di aver “ottenuto tutto ciò che di significativo ha chiesto, a partire dalla difesa del giornalismo d’inchiesta. Per questo, in commissione di Vigilanza, abbiamo votato convintamente a favore, valutando nel merito il testo. Il parere che abbiamo votato oggi ha infatti migliorato in maniera evidentissima il contratto ricevuto dalla Rai e dal ministro Urso”.

Il Partito democratico, però, la pensa in un altro modo, visto che Antonio Nicita si è dimesso da relatore di minoranza sul contratto di servizio Rai. “Come opposizioni siamo insoddisfatti dell’esito dei lavori della commissione di Vigilanza sul contratto di servizio Rai. Troppo poche le nostre osservazioni e i nostri emendamenti accolti nel parere predisposto dal relatore di maggioranza”. Sulla questione intervengono anche dal Nazareno. “Oggi si è consumata una rottura democratica perché nell’industria culturale e informativa più importante del Paese si è voluto imporre il punto di vista della destra sovranista“, scrive in una nota Sandro Ruotolo, responsabile Informazione e Cultura dei dem. “Un passo indietro che fa male al pluralismo – prosegue l’ex senatore – Con il Partito Democratico hanno votato contro Italia viva, Verdi e Sinistra italiana mentre si è astenuta Azione. Dispiace che i 5 stelle abbiano votato a favore di una Rai che, a reti unificate, vorrebbe propagandare le gesta del governo di destra. Noi ci opporremo a questo disegno”.

Ai dem, però, replicano fonti dei 5 stelle che definiscono il Pd “quantomeno confuso: prima ha concordato il testo con la maggioranza, poi – con una piroetta finale – si è sfilato, protestando. Non accettiamo nessuna lezione dal Pd, la smettano con questi giochini. Prendiamo invece atto che il Pd si ritrova unito a Italia Viva in questa singolare protesta, senza dimenticare che nel 2015 l’allora segretario dem Matteo Renzi introdusse una riforma della governance Rai per occuparla ancora meglio, in modo più scientifico. Oggi, invece, il Pd protesta per qualche strapuntino perso? Almeno ci risparmiassero l’ipocrisia”. Ma i dem replicano: “È inaccettabile che si faccia disinformazione perché il tema del giornalismo d’inchiesta stava già nella bozza dei relatori a luglio e non era più un tema di discussione”, dicono i membri del Pd della Vigilanza spiegando che oggi sul tavolo c’erano “oltre 200 emendamenti” ad ampio raggio, dalla discriminazione alla misurazione del pluralismo. “Molti erano anche dei 5 stelle e ci è toccato, nella dichiarazione finale di voto, dover difendere gli emendamenti dei 5 stele al posto loro. Siamo colpiti. Non si era mai visto una forza politica votare con così tanta convinzione ed entusiasmo un atto che escludeva la maggior parte delle sue proposte“.

Attaccano i 5 stelle anche i renziani, con Maria Elena Boschi che li accusa di avere commesso “un errore politico e sono fiera del mio voto contrario. Ma tutti quelli che hanno detto per un anno che Italia Viva era la stampella della maggioranza e che Conte era il paladino della sinistra oggi dove sono? Che dicono? Quando si scusano?”. “Il M5S è sempre più la vera ruota di scorta al governo Meloni“, dice la deputata Isabella De Monte. “È come quelli che in ascensore ti indicano, sapendo di essere i colpevoli…”, replica su Twitter/X Stefano Patuanelli. Sullo sfondo c’è Mariastella Gelmini, che rivendica l’astensione di Azione perché “sarebbe importante capire se sarà possibile misurare tutto ciò in termini di qualità e di quantità dei contenuti. E come si proverà a tenere la politica fuori dalla Rai, ponendo fine a una stagione di lottizzazioni. Su tutto questo resta molta incertezza”. Non si tratta di un’omonima dell’ultima ministra della Pubblica istruzione di Silvio Berlusconi, cioè il premier dell’editto bulgaro che cacciò dalla Rai – tra gli altri – Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi: quella che oggi auspica la politica fuori dalla Rai è proprio la stessa persona.

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