Quarantanove anni dopo la strage di matrice neofascista di Piazza della Loggia a Brescia, l’orologio della giustizia si azzera a causa di un cavillo procedurale. Ritorna all’udienza preliminare il processo a carico del veronese Marco Toffaloni, che all’epoca era diciassettenne e oggi, all’età di 65 anni, vive in Svizzera, nel cantone dei Grigioni. Fu ritratto sul luogo dell’attentato che costò la vita a 8 persone e causò il ferimento di altre 102. Una fotografia, riemersa dopo decenni, assieme ai ricordi di un pentito, ha portato alla nuova contestazione, mentre è già giunto all’epilogo della Cassazione il filone principale di un’inchiesta infinita e controversa. La condanna all’ergastolo è infatti diventata definitiva nel 2017 per quanto riguarda gli imputati Carlo Maria Maggi, medico veneziano, affiliato a Ordine Nuovo (deceduto qualche anno dopo), e Maurizio Tramonte, la fonte “Tritone” dei servizi segreti. Rimane aperto il filone che riguarda Toffaloni.

La decisione di far retrocedere il processo è stata presa dal Tribunale per i Minorenni di Brescia, accogliendo la richiesta dell’avvocato Marco Gallina, formulata in base a un difetto nell’elezione del domicilio presso un difensore. Si riparte, quindi, dall’udienza preliminare, la cui data deve essere ancora fissata, per un nuovo rinvio a giudizio.

Il collegio presieduto da Cristina Maggia si è reso conto di quanto paradossale sia la situazione. Per questo ha diffuso un comunicato. “La difesa dell’imputato Toffaloni ha riproposto un’eccezione che aveva già sollevato all’udienza preliminare dello scorso aprile, in relazione alla nullità della notifica all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare. In quella occasione il gup aveva respinto l’eccezione con parere conforme del pubblico ministero”. I giudici si sono però resi conto che la contestazione non era campata per aria e comunque nei successivi gradi di giudizio avrebbe costituito un’insidia capace di annullare tutto.

Anche i legali delle parti offese “hanno evidenziato la delicatezza dell’eccezione che, ove fondata, avrebbe potuto vanificare il lavoro processuale”. Lo stesso pubblico ministero d’udienza si è si è rimesso alla decisione del Tribunale. Quest’ultimo, “condividendo la concorde impostazione di tutte le parti, ha ritenuto prudentemente di accogliere l’eccezione. Sarà fissata a breve una nuova udienza preliminare e il processo subirà un ritardo di pochi mesi”. Si tratta, scrivono i giudici, di “un sacrificio temporale tutto sommato modesto, che vale la pena di fare, tenuto conto dell’importanza del processo e della pluriennale durata delle indagini preliminari”.

Durante la fase istruttoria, Toffaloni, che è cittadino elvetico, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Su di lui pesano le parole di Giampaolo Stimamiglio, diventato un collaboratore di giustizia. L’uomo ha riferito di aver ricevuto negli anni Novanta una confidenza proprio da Toffaloni. Stavano parlando di fatti legati al terrorismo. “L’imputato annuì ed aggiunse una frase in dialetto veronese – ‘Anche a Brescia gh’ero mi’ (c’ero io, ndr) – alludendo alla strage di Brescia. Non celando il mio stupore, gli ho chiesto se intendesse riferirsi all’attentato di Brescia e lui disse: ‘Son sta mi’ (Sono stato io, ndr). Replicai che a quell’epoca era solo un ragazzo e lui, sempre con quel mezzo sorriso sarcastico, confermò quanto mi aveva appena detto, annuendo, come a voler far intendere che, per quanto giovane, aveva le qualità necessarie”.

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