“Solo i poveri? Non direi… Da noi viene sempre Deborah Compagnoni, che abita qui vicino, a Ponzano Veneto. Quando è stagione compra anche il radicchio trevigiano che porta a sua madre a Santa Cristina, in Valtellina, dove hanno un ristorante. Ma passa anche il manager che cura gli acquisti alimentari della villa di Alessandro Benetton. E poi medici, avvocati, professionisti…”. Inizia dalla campagna trevigiana la verifica delle parole del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida secondo cui “i poveri mangiano meglio dei ricchi” perché si riforniscono nei “punti di vendita diretta” dove frutta e ortaggi costerebbero di meno. Alla prova dei fatti, anche quest’ultimo assunto è falso. Basta un veloce confronto dei prezzi tra quelli praticati nel mercato cittadino di Treviso e in un grande supermercato per verificare che chi ha meno soldi da spendere è costretto a scegliere il secondo, nettamente competitivo. E così cade il secondo punto fermo del cognato della premier: la vendita diretta, infatti, è conveniente solo per una minoranza di prodotti. Se invece guardiamo alla qualità, certamente il contadino che riceve il cliente nella propria azienda è in grado di garantire maggiore freschezza, ma non è detto che la faccia pagare di meno. Anzi, come dice il detto: la qualità si paga.

Il viaggio avviene nella provincia veneta che mescola insieme la periferia e la campagna della Marca Trevigiana dove la ricchezza e la povertà si mescolano, nascoste dietro l’alta redditività delle imprese del Nordest.

“SONO UN POVERO PENSIONATO…”. In via Santa Bona Vecchia che conduce verso le colline del Montello, il negozio è dentro un garage attaccato alla casa colonica. Franco, capelli bianchi, dice: “Un povero? Faccia lei, io sono solo un pensionato e utilizzo la vendita diretta non per i prezzi, ma perché penso alla genuinità del prodotto. Anche se pago qualcosa in più…”. Che poi la convenienza non vi sia lo spiega la titolare. “Il prezzo lo fa il mercato, nel senso che ogni mattina ci svegliamo alle 5 e portiamo i nostri prodotti all’Ortofrutticolo. È lì che si determina il valore della merce. Se all’ingrosso prendo 2 euro al chilo, non posso vendere qui a un prezzo inferiore, ci rimetterei”. E i ricarichi? “Ci spacchiamo la schiena ogni giorno, con la vita che facciamo e il tempo che dedichiamo, visto che siamo in piedi all’alba, è chiaro che un aumento c’è, altrimenti non si giustificherebbe l’apertura alla vendita diretta”. I numeri vengono appena sussurrati, ma sui 2 euro ricavati all’ingrosso si applica un incremento tra i 50 centesimi e un euro, dal 25 al 50 per cento. Poi c’è tutto il capitolo che riguarda la disponibilità di un determinato tipo di frutta o verdura che determina ulteriori rincari. “Con la grandinata di qualche settimana fa abbiamo perso tanto prodotto, è normale che i prezzi si siano alzati”.

TUTTI I PREZZI DELLA VERDURA. “Io neppure so quanto costano al chilo…”: volto abbronzato, pantalone a righe e camicia di lino, il signore di mezza età sembra appena sceso da un motoscafo personale e ha la noncuranza per i soldi di chi ne possiede abbastanza da non farci caso. Se lo facesse, come ogni massaia o padre di famiglia che deve risparmiare per arrivare a fine mese, si accorgerebbe che le differenze ci sono, eccome. Il povero dovrebbe evitare la campagna e andare in un supermercato della periferia urbana. Lì il paragone è più probante di quanto non avvenga nel mercato giornaliero all’aperto in una piazza di Treviso. Pur senza pretese statistiche, i prezzi dei prodotti che abbiamo visionato disegnano una precisa gerarchia della convenienza, che confligge con quanto dichiarato dal ministro Lollobrigida. E poco importa se la qualità nei grandi empori passa in secondo piano: chi deve fare i conti con il proprio reddito non può che cercare i punti dove spende di meno. La grande distribuzione vince in almeno due terzi dei prodotti sulla vendita diretta, mentre il mercato cittadino applica prezzi quasi sempre più alti (ma anche di poco) rispetto all’agricoltore che apre la propria casa ai clienti.

Prendete l’insalata gentile: 2,99 euro nel supermercato, dai 3 ai 4 euro nella vendita diretta. Nei peperoni non c’è competizione: 2,99 contro i 3,50-3,80 euro della vendita diretta. Idem per i fagiolini: 2 euro al chilo nel mercato cittadino, dai 3 ai 4,50 euro nella vendita diretta. Però con una spiegazione: “Dipende dalla qualità, noi li curiamo uno a uno, mentre gli altri…”. Le melanzane tonde a 1,99 nell’ipermercato (con offerta) stracciano i 2-2,80 euro del contadino. Quelle lunghe sono offerte a 2,50 euro contro 2,80-3,50 euro. I pomodori sono un caleidoscopio di qualità diverse, ma se il ramato si trova nel supermercato a 1,99 euro, lo stesso ha il cartellino a 3 euro nella vendita diretta. I cetrioli sono nel primo caso a 1,29 euro, nel secondo a 2,50 euro. Con le cipolle è un bel testa a testa, ma ancora una volta è il colosso delle vendite a prevalere con 1,89 euro al chilo contro 2 euro. Il contadino si prende qualche rivincita con il cavolo cappuccio (1,80-2 euro contro 2,50 euro nel mercato cittadino), con le zucchine (2-2,30 euro contro 2,70-3, euro) e con i pomodori da insalata (1,80-2,80 contro 3,50 euro).

FRUTTA, CHE CARA. Se dalla verdura poi passiamo alla frutta il confronto è ancora più impietoso, per il semplice fatto che molti tipi di prodotto non provengono dalla proprietà del contadino. È intuitivo che le banane non crescano nei pressi di Villa Minelli, sede storica del centro direzionale Benetton. L’ortolano le mette in vendita a 1,90-2 euro, il supermercato (con offerta) perfino a 99 centesimi. Anche i meloni conoscono un’insolita asimmetria: la grande distribuzione li offre a 1,99-2,20 euro, mentre il venditore diretto in genere è sui 2,50 euro, ma al mercato cittadino si arriva tranquillamente a 3 euro. Ti aspetteresti che almeno le susine siano concorrenziali per chi le produce, e invece la logica degli acquisti su grande scala permette prezzi inarrivabili ai piccoli, visto che nel centro commerciale sono offerte a 1,98 euro contro i 2,50-3 euro dei venditori diretti. Con le pesche tutti viaggiano attorno ai 3 euro, mentre i pompelmi (rosa) si acquistano a 2,29 euro nel supermarket e a 2,80 euro dal contadino. Sono i casi in cui è evidente che quest’ultimo acquista la merce all’Ortofrutticolo e applica poi un ricarico.

Dulcis in fundo, abbiamo trovato un minuscolo rivenditore sulla Postumia Romana che conduce a Castelfranco che vende le mele nuove (piccoline…) all’allettante prezzo di 1 euro al chilo, la metà sia dell’ipermercato (1,99 euro) che di un altro venditore diretto (2 euro). Al cittadino povero non rimane che comprarne una cassetta. Consolandosi con il fatto che le mele fanno bene alla linea.

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