Il mare che diventa più caldo, il livello dell’acqua che sale e le specie tropicali che devastano gli ecosistemi nativi. Così ogni giorno si perde un pezzo di biodiversità del Mar Mediterraneo. A iniziare da tutti quegli organismi che non possono letteralmente scappare dal caldo. Si chiamano ‘bentonici’, proprio perché vivono fissati al fondo marino che, se la temperatura dell’acqua sale oltre il loro limite di sopportazione, si trasforma nella loro prigione eterna. Il riscaldamento globale, dunque, non ha effetti solo sulla terraferma, benché sia qui che l’uomo ne percepisce maggiormente il disagio. L’altro ‘luogo’ dove i cambiamenti climatici hanno portato fino all’’inesplorato’ è proprio il mare. Basti pensare che a maggio e giugno 2023 sono state registrate, a livello globale, le temperature della superficie del mare più alte di sempre. Stando ai dati Copernicus, infatti, a giugno queste temperature erano 0,91°C sopra la media, circa mezzo grado in più rispetto al giugno più caldo di sempre, quello del 2010. Ma nell’Oceano Atlantico nord-orientale, si è arrivati persino a 1,36°C sopra la media. Ma se tutto questo ha delle conseguenze sull’Oceano, quali effetti sta avendo il riscaldamento globale sul Mar Mediterraneo, hotspot di biodiversità con oltre 17mila specie su appena lo 0,82% della superficie complessiva di mari e oceani? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto a Piero Lionello, dell’Università del Salento e del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici e autore principale del capitolo dedicato all’Europa del Syntesis Report del Sesto Rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici dell’Ipcc dell’Onu.

Il riscaldamento globale e il Mediterraneo – “Le ondate di calore in mare stanno già avendo effetti devastanti e macroscopici sugli ecosistemi marini, producendo delle mortalità di massa, in particolare negli organismi che non possono spostarsi” spiega. Diversi studi, infatti, mostrano come negli ultimi anni, in pratica ogni anno, in molte delle località monitorate c’è stata un’ondata di calore con una mortalità di massa che ha colpito la maggioranza delle specie presenti. “Un problema molto serio per gli ecosistemi, con ricadute a molteplici livelli – aggiunge Lionello – in un mare che è già sotto stress per diverse cause. Perché è vero che il riscaldamento globale è il pericolo predominante a lungo termine per il Mediterraneo, ma è anche accompagnato da una serie di altri rischi: c’è troppa pesca, è un mare inquinato, le cui coste sono molto antropizzate e i cui ecosistemi sono colpiti dalla presenza di specie alloctone, non locali, che arrivano prevalentemente attraverso il Canale di Suez o vengono trasportati dalle navi”. Perché l’aumento della temperatura crea condizioni favorevoli a specie tropicali.

Le specie invasive e i nuovi patogeni – “Se andiamo indietro di due secoli, le specie del Mar Indiano avrebbero dovuto fare un giro enorme passando per il Sud Africa, quindi non arrivavano, mentre dall’apertura del Canale di Suez hanno avuto una scorciatoia per accedere, tra l’altro, a uno spazio che adesso sta progressivamente diventando più adatto alle loro esigenze, perché si sta riscaldando”. Come racconta il Wwf nel recente report ‘Biodiversità Fragile’, negli ultimi decenni “circa mille specie animali aliene, tipiche dei mari tropicali, si sono stabilite in tutto il bacino del Mediterraneo, devastando gli ecosistemi nativi e alterando gli equilibri delle specie autoctone”. L’aumento delle temperature sta favorendo l’ingresso di specie tropicali non indigene, come il pesce scorpione, il pesce coniglio, il granchio azzurro e la Caulerpa taxifolia, un’alga infestante. Il cambiamento climatico favorisce anche l’emergere di nuovi patogeni che mettono a repentaglio la biodiversità. Ne è un esempio la popolazione di nacchera di mare, minacciata a causa dell’infezione da parte di un patogeno e considerata oggi dalla Incn (Unione internazionale per la conservazione della natura) in pericolo critico.

Quanto è più caldo il Mediterraneo – Ma di quanto si è riscaldato il Mare Nostrum? Lo stesso report spiega che nel Mediterraneo, essendo un bacino semi-chiuso, le temperature stanno aumentando il 20% più velocemente rispetto alla media globale. “L’andamento della temperatura del Mediterraneo non è regolare. Fino all’inizio degli anni Ottanta – spiega il professore Lionello – aveva un andamento irregolare con delle oscillazioni ‘naturali’ che portavano ad aumenti di mezzo grado al secolo, poi ha iniziato ad aumentare con una velocità impressionante, arrivando a un tasso di 3,5 gradi al secolo. Non è una tendenza che va completamente attribuita al cambiamento climatico, ma certamente per la gran parte è quella la causa”. Al riscaldamento globale, poi, si aggiungono fattori come la pesca intensiva che altera le catene alimentari e l’inquinamento. Tutti questi elementi contribuiscono a rendere il Mediterraneo ancora più vulnerabile, con rischi di perdita di biodiversità e di scomparsa di alcuni ecosistemi che lo caratterizzano.

I rischi e i fenomeni già in corso – Ci sono, poi, altri problemi legati al cambiamento climatico: acidificazione, deossigenazione, innalzamento del livello del mare, aumento della frequenza e dell’intensità di eventi climatici estremi, sono destinate ad aumentare nei decenni a venire. “In un ecosistema di acqua marina di acqua profonda l’aumento del livello del mare non è un problema, ma lo diventa per gli insediamenti e gli ecosistemi costieri, che si trovano a dover gestire questa transizione” spiega Lionello. In seguito ad alcuni di questi fenomeni già in corso, oggi alcune specie endemiche del Mediterraneo stanno traslando i propri areali verso acque più fredde a nord. Altre, come le meduse, proliferano a dismisura e altre ancora rischiano drastiche diminuzioni. L’aumento di fenomeni atmosferici estremi, per esempio, rischia di devastare alcuni habitat marini fragili come quelli della Posidonia oceanica e del coralligeno, esattamente come l’aumento del livello del mare minaccia le spiagge, aumentando l’erosione delle coste.

Il monitoraggio nelle acque italiane – Greenpeace Italia ha pubblicato a giugno scorso il terzo rapporto del progetto ‘Mare caldo’, condotto dalle ricercatrici del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita dell’Università di Genova. Il rapporto conferma un aumento generalizzato delle temperature con conseguenze evidenti sulla flora e la fauna del Mediterraneo. Tra giugno e settembre 2022 all’Isola d’Elba e nell’area marina protetta di Portofino, le due aree per le quali si dispone di tre anni di dati, sono state registrate anomalie termiche fino a 2°C in più a 10-15 metri di profondità rispetto alle medie mensili degli anni precedenti. In tutte le aree monitorate sono stati osservati segni di sbiancamento e necrosi in varie specie come le gorgonie, la madrepora Cladocora caespitosa e le alghe corallinacee incrostanti, attribuibili al riscaldamento delle acque. L’area marina protetta di Capo Carbonara e l’Isola d’Elba sono quelle dove si sono osservati i maggiori impatti sulle gorgonie. A Capo Carbonara, in particolare, il 50% delle colonie di gorgonie rosse ha mostrato segni di necrosi. All’Isola d’Elba è, inoltre, aumentata la frequenza di mortalità della madrepora Cladocora caespitosa. Infine, nelle aree marine protette di Capo Carbonara e Torre Guaceto, i segni di sbancamento delle alghe corallinacee incrostanti hanno raggiunto rispettivamente percentuali del 65% e del 45%. Nell’area marina protetta di Miramare, a Trieste, sono stati registrati eventi di moria di massa del mollusco bivalve Pinna nobilis, che ha coinvolto tutte le popolazioni mediterranee di questa specie a partire dal 2018.

Cosa significa per l’uomo – “L’aumento delle temperature sta causando drammatici cambiamenti nella biodiversità marina, dalla scomparsa delle specie più sensibili caratteristiche del nostro mare all’invasione di altre, spesso aliene, che meglio si adattano a un mare sempre più caldo” spiega Monica Montefalcone, ricercatrice del Seascape Ecology Lab del Distav. Tutto questo accade in fondo al mare, lontano dall’uomo. Eppure ha conseguenze anche sulla vita umana, perché la biodiversità ha molteplici funzioni, tra cui quella di regolazione del clima e di nutrimento per vegetali e animali. Il rischio numero uno? “Di ritrovarci un mare diverso rispetto a quello che conosciamo, con una biodiversità meno ricca. Il Mediterraneo non è ancora un mare acido – conclude Lionello – ma sta perdendo il suo marcato aspetto basico. Non mi piace fare allarmismi, ma è giusto che siamo consapevoli che ci sono dei rischi in atto e che la finestra di opportunità che abbiamo a disposizione per porre rimedio sta diminuendo”.

Articolo Precedente

“Complesso, poco coerente e ridondante”: Il think-tank italiano Ecco boccia il piano nazionale integrato energia (Pniec)

next
Articolo Successivo

La sofferenza dei pesci in acquacoltura sostenibile: l’etichetta deve essere trasparente – L’APPELLO

next