“Io conosco una persona a posto… ed ha buone possibilità, diciamo a livello europeo, per potere approfittare di questi finanziamenti pure per una quota consistente a fondo perduto”. Così parla Michele Micalizzi, arrestato stanotte assieme ad altre 10 persone (tre ai domiciliari) nell’operazione del nucleo investigativo dei carabinieri di Palermo. Un’operazione coordinata dalla procura guidata da Maurizio De Lucia e che ha svelato come Micalizzi fosse di nuovo a capo del mandamento di Partanna Mondello, uno dei quartieri più popolati del capoluogo siciliano che comprende la spiaggia più gettonata dai turisti, ricca di ristoranti ai quali venivano imposti servizi di vigilanza e le forniture di pesce e frutti di mare. L’operazione dei carabinieri coordinata dagli aggiunti Paolo Guido e Marzia Sabella e dai sostituti Giovanni Antoci, Dario Scaletta (adesso al Csm) e Felice De Benedittis, ha permesso di ricostruire la struttura del mandamento mafioso di Tommaso Natale-San Lorenzo di Pallavicino-Zen, Partanna Mondello e Tommaso Natale, una fetta urbana, quindi, molto consistente del capoluogo siciliano.

Le mani della mafia sui finanziamenti europei grazie a un professionista che è “una miniera”
Nemico giurato di Totò Riina che lo voleva morto, Micalizzi è il genero di Rosario Riccobono, storico capomafia ucciso dai corleonesi, uno dei maggiori attori del commercio di droga negli anni ’80, protagonista di una rilevantissima attività di importazione di eroina thailandese. Dopo 25 anni di carcere, Micalizzi era uscito nel 2015 ed era tornato a gestire il territorio, imponendo il pizzo e cercando finanziamenti europei anche nel settore agricolo. Così, infatti, continua a spiegare a Tommaso Inzerillo – membro della nota famiglia mafiosa degli Inzerillo scappati negli Usa durante la seconda guerra di mafia e tornati dopo il 2000 – come trovare “qualche dieci milioni”: “Trovami un’azienda, dice, al momento ci sono dei bandi per l’agricoltura, per la Sicilia dice che c’è, là sopra il tre per cento, a fondo perduto da Napoli in su. Mentre nel meridione e in particolar modo la Sicilia arriviamo all’ottanta, certe volte al novanta per cento, quindi se facciamo una pratica da dieci milioni, otto nove milioni sono a fondo perduto, dice: e poi te li rendiconto io. Questo ha l’ufficio a Bruxelles, a Malta, a Londra, comunque è una persona che è una miniera, sotto certi aspetti, ha grosse possibilità alla banca all’Unicredit… Se avete ora di bisogno di banche, mi dice: se trovi un’azienda agricola, mi dice, impostiamo la cosa ve la elaboro io… vediamo se ci possiamo fare dare qualche dieci milioni… ”.

Se Riina “rifletteva a questo punto non ci saremmo”: la guerra di mafia spiegata dai boss perdenti
È l’8 dicembre del 2017 quando la conversazione tra Micalizzi e Inzerillo viene registrata e più in là nella conversazione i due commentano i fatti della seconda guerra di mafia, nella quale erano stati coinvolti, entrambi componenti di fazioni perdenti. Dopo la morte di Riina, la risoluzione dei contrasti era stata poi avviata con le interlocuzioni col boss Settimo Mineo. Ma la guerra dei corleonesi è ormai acqua passata, secondo Micalizzi: “Persone come noi per quello diciamo che è il nostro vissuto… diciamo noi siamo persone che tendiamo, diciamo, a mantener, diciamo la tranquillità, la pace, non disturberemmo a nessuno”. E se Riina fosse stato più attento sarebbe stato tutto diverso, commenta Inzerilllo: “Se quello rifletteva a questo punto non ci saremmo”. Una pace quella che potevano garantire i due, ma non senza armi, e ad offrire la sicurezza armata è Micalizzi: “Se hai di bisogno, eventualmente attrezzature, cose noi abbiamo…”. “Ma qua noi, dobbiamo stare in pace”, rispondeva Inzerillo. “Diciamo che abbiamo avuto l’esperienza… diciamo… non potrebbe mai più succedere più e non deve succedere più”, sottolinea Micalizzi, e l’altro concorda: “Noo! Non deve succedere”. Ma dopo quel periodo della storia di Cosa Nostra, “le regole sono cambiate”, parola di Giulio Caporrimo che intercettato dopo una riunione di mafia, rimugina ad alta voce: “Miché di qua non ti devi muovere… se non lo so io… te lo spiego in un’altra maniera Miché, ma tu la sai Cosa nostra! A te ti pare che non c’è nessuno… io ti lascio convincere così… Miché, io sto capendo che tu vai girando ovunque con quale autorizzazione al mandamento non si capisce… ma che è cambiato il mandamento magari… lo avete capito? O forse quello che è successo a te ti pare che non è cambiato niente… è cambiato… le regole sono cambiate… sono cambiate tutte cose”.

Il controllo sui ristoranti: “Io domani riscuoto”
Stralci di intercettazioni che restituiscono le considerazioni dei boss sugli anni sanguinari di Riina, ai quali segue adesso una “pace” che si traduce in controllo del territorio. “Domani siggio (riscuoto, ndr)… duecento Manuela, cento lo zio Andrea, cento Rodolfo, cento Cesare, cento Angelo… cento me li ha dati poco fa Angela”: così riferisce Rosario Gennaro, arrestato stanotte dai militari dell’arma. Era lui ad esercitare il controllo sui ristoratori di Mondello e Sferracavallo e a mantenere la sicurezza. Uno di questi ristoratori che con regolarità aveva garantito il pizzo aveva per esempio subito un furto, la refurtiva veniva subito recuperata da Gennaro che infliggeva “una barbara punizione, eseguita nel corso di una vera e propria fustigazione avvenuta in piazza, quale vera e propria manifestazione dell’efficienza garantita dalla cosca mafiosa a tutti gli operatori economici destinatari dei prelievi forzosi”, scrive il gip Fabio Pilato.

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