L’ibrida che è decollata sul mercato italiano non in virtù della gran tecnologia che pur la distingue, oppure lo urban suv compatto dal design così aggressivo da fare tendenza in Europa nonostante sia arrivato da un marchio giapponese. Toyota C-HR sarebbe un caso di scuola se non contasse soprattutto il successo commerciale, oltre le previsioni e a prescindere dai ragionamenti.

Dal debutto come concept car nel 2014 alla versione definitiva, lanciata nel 2016, non si era perso per strada quel look costruito sugli sbalzi cortissimi e sugli spigoli poi piaciuto subito. Indipendentemente da un dettaglio non trascurabile, ovvero da quella motorizzazione ibrida che fino ad allora era passata attraverso vetture più tradizionali e con CHR si ritrovava invece ad essere il valore aggiunto di un modello di suo già intrigante. “Ambasciatore del Full Hybrid” lo ha definito poi Toyota, che nel nostro Paese ha commercializzato oltre 90.000 C-HR.

La seconda generazione mostrata in anteprima mondiale ad Amburgo non è un semplice bis perché non poteva esserlo. Ancora una volta, il passo dalla show car “Prologue” vista lo scorso inverno alla versione definitiva è stato brevissimo, quasi inavvertibile se si guarda all’incastro di spigoli e profili netti che costruisce una carrozzeria a cuneo perfino più corta della precedente, 436 cm contro 439, con tre centimetri di larghezza supplementare che portano il totale a 183.

C’è l’estrema sintesi del frontale Hammerhead ad incudine che appartiene alle Toyota più recenti, fari sottili alla base di un cofano orizzontale, e poi nervature che si incrociano sulle fiancate per sostituire con accenni di poligono quelle bombature che stanno nei suv più tradizionali. C’è anche una coda in “total black” che prolunga il nero del tetto, finestrini posteriori finalmente più larghi degli oblò claustrofobici della prima generazione e soprattutto un lunotto molto inclinato sul bagagliaio, ma ampio sui lati, che concede una visibilità degna di questo nome. L’effetto è decisamente “Premium”, come direbbe con diplomazia chi non preferisce la verità diretta, che cioè C-HR sostituisce nell’immaginario collettivo alcuni modelli a marchio tedesco premium in fatto di innovazione estetica, qualità e anche coraggio. Soprattutto, succede fuori come dentro, senza ripetere l’errore dell’abitacolo pacioso e fin troppo famigliare visto con la prima generazione.

Toyota non ha neppure chiesto scusa al suo marchio di lusso Lexus per una disposizione di schermi e strumenti molto più piacevole e razionale, lineare, tecnologica, con finiture di buona qualità e solo un trascurabile difetto riscontrato, cioè il pannello a forma di ala che separa il vano portaoggetti alla base del cruscotto dalla zona destinata al passeggero anteriore. Nell’idea, dovrebbe dare maggiore risalto alla centralità del guidatore, ma è un inutile pensiero barocco. Grazie ad un cielo più contemporaneo c’è il digital cockpit da 12,3 pollici dietro il volante con grafica e definizione di immagini all’altezza dei migliori, affiancato da un secondo touchscreen centrale da 8 o 12,3 pollici, a seconda delle versioni.

Poche linee, un andamento ad onda della plancia e ecco che il gioco è ben fatto. Il sistema di illuminazione led a 64 tinte che accompagna il ciclo solare durante le 24 ore è uno di quegli elementi ormai imprescindibili. Nel piano attico del mercato, C-HR avrà però ha ben altro da offrire al suo arrivo in Italia, nelle prime settimane del 2024 e con prezzi ancora da definire. Quando l’ibrido era l’alternativa a benzina e gasolio in quanto tali, infatti, a C-HR bastavano per Italia due varianti. Ora che in questa tecnologia hanno investito in molti, Toyota costruisce una gamma di quattro versioni sviluppate sul velluto del sistema Hybrid Toyota di quinta generazione, ovvero con maggiore riscorso ad una componente elettrica ben più potente. Per molti c’è C-HR 1.8 da 140 cavalli, con consumi dichiarati di 4,8 litri di benzina ogni 100 Km e 103 grammi di CO2 emessa ogni chilometro. La partita vera però si giocherà con C-HR 2.0, con motore benzina da 1.987 cc da 152 Cv abbinato ad un elettrico da 111 Cv per una potenza complessiva di 198 Cv, oppure 4,8 litri di carburante ogni 100 Km e 107 grammi in emissioni CO2 ogni mille metri.

Mancava l’altro elemento che fa lusso, ma adesso c’è. La trazione integrale disponibile su C-HR 2.0 non è meccanica ma di tipo intelligente i-Awd, ovvero senza nessun collegamento meccanico tra i due assi, perché viene aggiunto un ulteriore motore elettrico al posteriore da 41 Cv. Competizione più raffinata invece con la variante plug-in hybrid a trazione anteriore da 223 Cv di potenza complessiva, ottenuta utilizzando un motore a magnete permanente da 163 Cv, con 66 km di autonomia in modalità elettrica emissioni per 19 grammi di CO2 ogni 1.000 metri. Anche questa volta, nel dubbio che la gran riuscita del look lasci meno spazio per notare la tecnica.

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