La speranza si era accesa mercoledì mattina, rimbalzata dalle boe sonar in azione per cercare il sommergibile disperso con cinque persone a bordo. I “suoni di colpi” sottomarini rilevati “ogni 30 minuti” nel Nord Atlantico, dove il Titan – diretto al relitto del Titanic – è scomparso due giorni fa, avevano fatto accelerare le ricerche. Tutto era iniziato con la captazione di un aereo canadese P-8 coinvolto nella ricerca, seguito da ulteriore sonar che aveva sentito ancora dei “colpi” quattro ore più tardi, come scritto in un’e-mail interna inviata ai funzionari del Dipartimento per la sicurezza interna degli Usa. Il tutto a circa 24 ore dal momento in cui “l’aria respirabile” a bordo del sommergibile Titan disperso nel Nord Atlantico potrebbe esaurirsi. Un momento fissato poco dopo le 5 ora standard orientale (Est) giovedì 22 giugno, ovvero le 11 in Italia, come rende noto la Guardia Costiera statunitense.

Ma le ricerche nelle ore successive hanno dato esito negativo “ma continuano”, come spiegato dalla Guardia costiera. Con il passare delle ore diminuiscono sempre più però le possibilità di ritrovare in vita i 5 a bordo del Titan, che ha fatto perdere le sue tracce da oltre 48 ore. Perché ne restano ormai poche prima che l’ossigeno a disposizione degli occupanti del sommergibile si esaurisca rendendo vane le ricerche per salvarli. In una conferenza stampa, il capitano Jamie Frederick della Guardia Costiera americana ha sottolineato che l’operazione di ricerca è “molto complessa” e copre fino a 7.600 miglia quadrate (circa 20.000 chilometri quadrati), un’area più grande dello stato del Connecticut.

Inoltre, è stato istituito un centro operativo a Boston per coordinare gli sforzi di Stati Uniti, Canada e della società proprietaria del sottomarino, la OceanGate Expeditions, specializzata in spedizioni sottomarine in acque profonde. L’operazione è così difficile che è come cercare una mina in un campo minato. Durante la conferenza stampa, Frederick ha elencato il numero di risorse messe a disposizione per le ricerche: da un aereo da trasporto militare statunitense Lockheed C-130 Hercules a un aereo canadese Boeing P-8 Poseidon in grado di rilevare oggetti sotto il mare. Secondo il contrammiraglio John Mauger della Guardia Costiera statunitense, le ricerche – a cui partecipa anche la Polar Prince – riguardano un’area “a circa 1.450 chilometri a est di Cape Cod, a una profondità di circa 4.000 metri”.

“È un’area remota ed è complicato condurre una ricerca in una zona del genere”. Intanto è ancora ignoro su cosa possa essere accaduto. Le ipotesi sono le più disparate: un black-out che ha fatto saltare le comunicazioni, un cortocircuito che ha innescato un mini-incendio a bordo, che potrebbe aver danneggiato non solo i sistemi operativi (ma anche generato fumi tossici). O anche il natante, sospinto dalle correnti, è rimasto impigliato tra i detriti del Titanic. Di certo, se il sommergibile è ancora intatto e non è imploso, quelli a bordo oltre a rischiare di rimanere senza ossigeno, quelli a bordo hanno sicuramente molto freddo e saranno in uno stato di estrema tensione. Anche perché probabilmente sanno che trovare il sommergibile è solo il primo passo: una volta che verrà individuato – a seconda della profondità dove si trova – trarlo in superficie non sarà affatto scontato. E il tempo stringe sempre più.

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