Condannate il “Signore del vento” a dieci anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia. È la richiesta del sostituto procuratore generale di Palermo, Carlo Marzella, nel corso della requisitoria celebrata venerdì mattina al processo di appello bis per Vito Nicastri. L’elettricista di Alcamo, diventato imprenditore milionario del settore rinnovabile, è stato condannato nell’ottobre 2009 in primo grado in abbreviato a 9 anni, ma la sentenza è stata parzialmente ribaltata in appello, quando i giudici hanno escluso il concorso esterno, riducendo la pena a 4 anni per intestazione fittizia. Nell’aprile 2022 invece, la Cassazione ha accolto le richiesta della pg di Palermo e disposto l’annullamento della sentenza, chiedendo che venisse celebrato un appello bis.

I terreni ai boss – Il processo nasce dagli sviluppi dell’operazione antimafia “Pionica” della Dia di Trapani e della Dda di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti procuratori Gianluca De Leo e Giacomo Brandini, in cui erano emerse le pressioni alla proprietaria di alcuni vigneti per evitare che esercitasse i proprio diritti sui terreni e spingerla a venderli. Secondo l’accusa, Melchiorre Leone, per la quale il pg di Palermo ha chiesto 12 anni in concorso con Nicastri, avrebbe minacciato la proprietaria, favorendo i fratelli Vito e Roberto Nicastri, e di riflesso Michele Gucciardi, capomafia della famiglia di Salemi, e Salvatore Crimi, affiliato alla famiglia di Vita. Il fondo agricolo sarebbe servito a imprenditori in odor di mafia per ottenere finanziamenti comunitari. Una vicenda, come spiega nel corso della requisitoria il pg Marzella, che “dimostra ancora una volta la straordinaria capacità camaleontica di cosa nostra trapanese che, cogliendo l’assoluta redditività degli interventi nel settore delle speculazioni immobiliari, è riuscita a perseguire vantaggi economici avvalendosi di soggetti altamente affidabili, come i Nicastri, così riducendo notevolmente il rischio di coinvolgimento in indagini giudiziarie”.

Le censure della Cassazione – In aula, il pg Marzella ha elencato i punti con la quale la Suprema Corte ha “censurato” le motivazioni dell’appello, evidenziando che i giudici avrebbero “recepito acriticamente le versioni” di Nicastri e Leone “senza condurre nessuna verifica circa la loro intrinseca credibilità”, mentre in primo grado erano emersi “plurimi aspetti di falsità e di omissione nelle dichiarazioni” dei fratelli Nicastri. Inoltre, nelle motivazioni sarebbe stato “travisato il contenuto delle conversazioni ambientali”, tra cui quella del 5 novembre 2014, dove Gucciardi e Crimi parlano delle “trattative intercorse tra i Nicastri e la VI.EFFE”, riconducibile agli imprenditori Ficarotta che sarebbero stati legati ad uomini d’onore di San Giuseppe Jato.

L’ala protettiva di Cosa nostra – Nella lunga requisitoria, il pg Marzella fa un excursus sui rapporti tra i “fratelli Nicastri e l’organizzazione mafiosa” che “risalgono alla prima metà degli anni novanta”. Vito, all’epoca coinvolto in un’inchiesta per “corruzione e truffa ai danni dello Stato”, “tramite il fratello Nicolò, si rivolse ai vertici della famiglia mafiosa di Alcamo, chiedendone ed ottenendone la protezione in cambio di denaro ed altri favori di natura economica”. “Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Ferro, già a capo del mandamento mafioso di Alcamo, la questione ‘Nicastri’ sarebbe stata portata all’attenzione dell’allora latitante Leoluca Bagarella” “che avrebbe dato la propria ‘benedizione’ per porre l’imprenditore sotto la rassicurante, ma esigente, ala protettiva di Cosa Nostra”.

L’eolico e Messina Denaro – “Il rapporto di Nicastri – aggiunge il pg nella requisitoria – con l’organizzazione mafiosa non si sarebbe più interrotto” favorendolo “nella sua inarrestabile ascesa economico-imprenditoriale nel settore delle energie rinnovabili”, dove avrebbe “intessuto rapporti con esponenti mafiosi della famiglia di Mazara del Vallo, con la pericolosa cosca mafiosa palermitana dei Lo Piccolo, con il capo cosca catanese Vincenzo Maria Aiello, affiliato al clan Santapaola–Ercolano, fino agli esponenti della ‘ndrangheta reggina (Platì, Africo e San Luca)”. Il suo nome è citato anche nel pizzino, siglato “sigla ZE 10”, ritrovato nella disponibilità del boss Salvatore Lo Piccolo: “Nicastro di Alcamo continuare con Scinardo escludere i fratelli Severino”. Senza dimenticare, conclude il pg, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, cugino di Mattero Messina Denaro, che hanno consentito di ritenere “provata l’esistenza di un rapporto economico tra Michele Gucciardi e Vito Nicastri”. Proprio Cimarosa, scomparso a gennaio 2017, aveva raccontato che ‘il signore del Vento’ avrebbe fatto avere “una borsa piena di soldi” agli uomini legati a ‘u Siccu’.

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