Il Pnrr rischia di diventare la più grande occasione persa per il diritto allo studio degli universitari. Tra i problemi dietro l’emergenza abitativa degli studenti c’è la scarsità di residenze pubbliche: attualmente i posti sono poco più di 50mila, meno di un terzo rispetto a paesi come Francia e Germania, a fronte di circa 600mila fuori sede. Per portare il numero degli alloggi a 100mila entro il 2026, il Piano nella Missione 4 (istruzione e ricerca) mette a disposizione 960 milioni di euro: queste risorse andranno però a finanziare prevalentemente strutture gestite dai privati, che spesso hanno prezzi ben superiori ai canoni medi di locazione e che rischiano così di gonfiare ulteriormente il mercato dell’affitto.

“Andando a leggere il testo del Pnrr, all’interno della Missione 4 non si trova alcun riferimento al fatto che i 60mila posti in più siano da destinare al diritto allo studio, dunque agli studenti meritevoli e privi di mezzi”, spiega Alessandro Santoro, che è stato team leader del ministero dell’Economia e delle Finanze per la Missione 4 durante la fase di definizione del Pnrr. “L’obiettivo è semplicemente quello di garantire nuovi posti alloggio per gli studenti fuori sede. Non necessariamente a tariffe agevolate”.

Rispetto alla legge 338/2000, che è stato il principale strumento legislativo finora esistente per la realizzazione e la ristrutturazione delle residenze universitarie, il Pnrr introduce una serie di novità. In primis, prevede l’incremento della percentuale di cofinanziamento statale dal 50 al 75% dell’importo dell’intervento. Poi, permette di applicare alle nuove residenze il regime fiscale agevolato riservato all’edilizia sociale. Ma soprattutto, apre i finanziamenti agli investitori privati, che ricevono un contributo a fondo perduto per la copertura dei costi di gestione per i primi tre anni, e che hanno la possibilità di affittare le stanze anche ad altri utenti – tra cui turisti – quando non utilizzate dagli studenti. Eppure, non si specifica per quanto tempo, né per quale percentuale di posti.

All’interno dei decreti legge di attuazione del Pnrr emanati tra agosto e settembre dal governo Draghi si legge che “i privati possono agire anche in convenzione con gli enti diritto allo studio e le università”. “È quell’”anche” che preoccupa”, afferma Santoro. “Non esiste nessun obbligo”. Nel testo si legge poi che i posti letto “sono destinati prioritariamente agli studenti fuori sede individuati sulla base delle graduatorie del diritto allo studio, ovvero di quelle di merito”. Ma non si specifica in che percentuale: scompare così l’unico vincolo che era contenuto nella legge 338/2000, che prevedeva che almeno il 20% dei posti privati cofinanziati con fondi pubblici dovessero essere destinati agli studenti meritevoli e privi di mezzi. “Per i fondi stanziati dal Pnrr non è stata stabilita una quota precisa di posti letto da garantire a studenti sulla base delle graduatorie del diritto allo studio”, commenta Santoro. “La percentuale è stata sostituita dall’avverbio “prioritariamente”: è una dicitura vaga, che lascia ampio spazio di manovra”.

La legge non fissa un tetto massimo ai canoni di affitto per le stanze nei nuovi studentati. “Secondo le stesse valutazioni degli operatori privati”, spiega Santoro, “gli strumenti messi in campo potrebbero consentire una riduzione delle tariffe per posto letto nell’ordine del 10-15%”. Una riduzione da calcolare a partire da quale prezzo di partenza? Questo sarà deciso dal gestore privato. “Il risultato è che lo sconto sulle tariffe potrebbe non essere sufficiente a soddisfare la domanda degli studenti meno abbienti”, afferma Santoro.

Ad agosto e a dicembre 2022 sono stati pubblicati i primi due bandi di stanziamento delle risorse del Pnrr, per un importo di circa 300 milioni di euro: l’obiettivo era di mettere a disposizione i primi 7.500 alloggi entro dicembre 2022, puntando in particolare sul recupero del patrimonio immobiliare esistente e non utilizzato. I finanziamenti erano destinati sia ad attori pubblici, come le università e gli enti per il diritto allo studio, sia a privati. Analizzando la lista degli interventi finanziati (qui e qui), si vede come siano i privati a farla da padrone. Un esempio: Camplus, il primo provider di housing per studenti in Italia, ha ottenuto più di 108 milioni di euro, il 38% del totale dei fondi erogati nel 2022. Su 82 progetti finanziati, ben 23 fanno capo a questo marchio (che mette insieme la Fondazione Camplus, Camplus International s.r.l. e Fondazione Ceur).

Con il resto delle risorse disponibili del Pnrr, 660 milioni di euro, è stato istituito il Fondo Housing Universitario, destinato questa volta solamente agli operatori privati. Proprio ieri, 11 maggio, il Consiglio dei Ministri ha presentato un emendamento che conferma “l’immediata entrata in vigore della disciplina relativa alle misure di sostegno per alloggi universitari”. L’emendamento sblocca così le risorse, arrivando dopo una “interlocuzione con la Commissione europea” che si sarebbe conclusa il 10 maggio, proprio nei giorni in cui le proteste degli studenti si sono diffuse in svariate città d’Italia. Ancora però non sono state rese pubbliche le procedure di attribuzione dei finanziamenti.

“Siamo ancora in tempo per far sì che i fondi del Pnrr siano utilizzati con uno scopo sociale, per rispondere all’emergenza abitativa degli studenti delle fasce più deboli”, conclude Santoro. “Ma affinché questo accada, serve che si verifichino alcune condizioni: in primis, il provvedimento che stanzierà le risorse del Fondo Housing Universitario deve dare un peso forte alle convenzioni con le università e con gli enti per il diritto allo studio. Poi, i soggetti pubblici dovranno essere in grado di mantenere il focus sul diritto allo studio degli studenti in situazione di fragilità economica. Infine, è necessario che gli enti locali facciano convenzioni con i privati sulle tariffe, calmierando di fatto i prezzi. Senza queste condizioni, il Pnrr rischia di diventare un’occasione persa per la collettività”.

Articolo Successivo

“Il Pnrr della scuola rischia di far aumentare le disuguaglianze tra Nord e Sud”: l’allarme dello Svimez. La colpa? Dei criteri ministeriali

next