Pubblichiamo di seguito un brano estratto dal libro “A scuola da De Laurentiis. L’efficienza di un modello innovativo” (edito da Ultra Sport – 210 pagine – 16 euro – prefazione di Roberto Beccantini e postfazione di Angelo Mincuzzi) scritto da Vincenzo Imperatore, giornalista, scrittore, blogger de ilfattoquotidiano.it

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L’ammortamento di Ronaldo non tiene conto dell’età, quello di Osimhen sì

Spesso i sistemi di valutazione delle rose delle squadre di calcio elaborati da alcuni siti specializzati confondono il pubblico dei tifosi non esperti di finanza, e soprattutto offrono argomenti di critica che vengono poi utilizzati, per incompetenza o in modo strumentale, dai vari GianniBrerafuCarlo che popolano il villaggio dei «New York Times» locali. È una narrazione che si basa sull’assunto che il valore delle rose delle squadre di calcio rappresenti un parametro per immaginare, almeno prima dell’inizio del campionato, una griglia di potenzialità fondata sull’equazione “più alto il valore, più alte le probabilità di essere vincenti”. Un’equazione che, come vedremo nel capitolo Cosa vende una azienda di calcio per guadagnare, nelle cinque principali leghe europee si è realizzata nel 95% dei casi. Ma la valutazione della rosa era quella espressa in bilancio, non quella fatta dai siti specializzati.

Perché quest’ultima non è reale, e non lo è per un motivo di natura contabile: il bilancio deve riflettere quanto più possibile il valore reale dell’azienda, quindi per rappresentarlo in maniera veritiera occorre seguire dei principi contabili.

I bilanci delle società di calcio vengono redatti in base al principio contabile del fair value, che consiste nel misurare beni e passività tenendo conto del loro valore attuale. Tradotto: il fair value non è il “valore di mercato”, cioè un prezzo negoziato in uno scambio effettivamente realizzato (90 milioni per Higuaín) o semplicemente immaginato-trattato (100 milioni per Koulibaly), bensì il valore stimato (da chi redige il bilancio) come “ragionevole” per un’ipotetica transazione di mercato.

Ragionevole: ricordate questo aggettivo. Tutto ciò che si realizza in più rispetto a questo valore ragionevole determina una plusvalenza; al contrario, ti porti a casa una minusvalenza. Nel bilancio di una società di calcio il “parco calciatori” assume un peso importante, perché rappresenta l’asset fondamentale, strategico e di maggior valore. Mediamente, il peso del parco calciatori sul totale dell’attivo di bilancio è del 40%.

E come viene valutato un calciatore in un bilancio? Secondo un valore, nell’ambito appunto dei principi del fair value, definito Net Book Value (Valore Netto Contabile) e ottenuto dalla differenza tra il costo storico di acquisto (il costo del cartellino) e la parte ammortizzata negli anni, così come l’abbiamo vista nell’esempio del Borgorosso Football Club. E anche per quanto riguarda gli ammortamenti occorre seguire dei principi contabili. Il Napoli, così come riportato anche da «Calcio e Finanza», ammortizza secondo il metodo delle quote decrescenti. In altri termini, utilizza un criterio contabile che prevede “il consumo” delle prestazioni di un calciatore concentrato prevalentemente nei primi anni del suo ingaggio. Si tratta di un metodo di ammortamento accelerato che alloca la maggior parte dei costi di un calciatore nei primi anni della sua vita utile. Pertanto la maggior parte dell’ammortamento è concentrato nel cosiddetto “periodo protetto”, che ha una durata di due anni per i calciatori acquistati con 28 anni compiuti e di tre anni per i calciatori con meno di 28 anni all’atto della sottoscrizione del contratto. L’ammortamento “a quote decrescenti” permette di limitare l’esposizione in bilancio di ingenti minusvalenze, successivamente al termine del “periodo protetto”. Mi sembra un criterio corretto e coerente con la vita utile economico-tecnica di un calciatore: secondo voi il “consumo” delle prestazioni di Mertens era maggiore all’inizio del suo contratto o alla fine? Quando viene utilizzato questo metodo, occorre stabilire una percentuale annua fissa di utilizzo del cespite (calciatore).

Se il Napoli vendesse alla fine del terzo anno il calciatore a 5 milioni di euro avrebbe realizzato una plusvalenza contabile di 520.000 euro, e se lo cedesse alla fine del contratto anche solo per un milione di euro porterebbe a casa un utile contabile di 104 mila euro. A questo punto occorre soffermarsi sulla “distanza” che esiste tra il valore contabile della rosa di una squadra (Net Book Value, valore al netto dell’ammortamento) e il valore di mercato espresso dai siti specializzati.

Nel bilancio al 30 giugno 2021, il Napoli aveva un valore di bilancio (Net Book Value) dei calciatori di soli 126 milioni di euro: la “distanza” rispetto al valore di mercato del momento effettuata da Transfermarkt (477 milioni di euro) è di circa 315 milioni! Analizzando l’ultimo bilancio della Juve e la valutazione di Transfermarkt per lo stesso periodo (642 milioni), si nota che la “distanza” è di soli 210 milioni, quindi siamo molto più vicini al valore di mercato. Leggendo le note informative al bilancio si evince che la società bianconera utilizza un principio contabile di ammortamento a “quote costanti”, secondo il quale il calcolo delle quote di ammortamento viene effettuato dividendo semplicemente il valore da ammortizzare per il numero di anni di vita utile del bene.

In parole semplici, la quota di utilizzo di Ronaldo è stata la stessa per tutti gli anni di contratto. CR7, costato 100 milioni per le prestazioni di quattro anni, è stato ammortizzato per 25 milioni all’anno: e secondo voi il consumo delle prestazioni del bianconero nel suo ultimo anno con la Juventus è stato lo stesso del primo? Ai narratori della “classifica in base alle valutazioni di mercato” chiedo: è mai possibile che la “distanza” per il Napoli sia più del doppio di quella della Juve? Non è forse possibile che il Napoli, che tra l’altro si è sempre distinto per la “qualità” del suo bilancio, si distingua anche per la scelta dei principi contabili di ammortamento del suo parco giocatori?

La domanda è retorica.

Estratto da “A scuola da De Laurentiis. L’efficienza di un modello innovativo” di Vincenzo Imperatore, Ultra edizioni.

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