È stato assolto dall’accusa di omicidio colposo Luigi Terrone, amministratore unico della società per cui lavorava Paola Clemente, 49enne bracciante agricola di San Giorgio Jonico, nel Tarantino, morta di fatica in un vigneto di Andria il 13 luglio 2015. Il tribunale di Trani ha emesso la sentenza con la quale ha scagionato l’uomo dalle responsabilità nel decesso della donna: il pubblico ministero Roberta Moramarco aveva chiesto la condanna a 4 anni di reclusione, ma il giudice Sara Pedone ha ritenuto che non vi fossero sufficienti elementi per emettere un verdetto di condanna. Terrone, difeso dagli avvocati Bepi e Angela Maralfa, è infatti stato assolto perché “il fatto non sussiste” formula prevista quando secondo il giudice “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova”.

L’accusa nei suoi confronti era di non aver impedito la morte della bracciante dato che alla società “Ortofrutta Meridionale” spettavano “gli obblighi di prevenzione e protezione dei lavoratori somministrati”. Già dalla sua partenza da San Giorgio Ionico, la donna aveva spiegato di non sentirsi affatto bene. Clemente si era accasciata per terra dopo essere stata male già dalle 3 del mattino quando era partita da casa: in quella mattina di caldo straordinariamente forte, al punto che già alle 7 del mattino c’erano 31 gradi, la donna aveva spiegato di non sentirsi affatto bene, ma secondo quanto le sue colleghe hanno raccontato al marito, la risposta era stata che bisognava arrivare comunque ad Andria.

Aveva chiesto di essere condotta in ospedale, ma una volta giunta in campagna, Clemente è stata invitata a sedersi sotto un albero in attesa che i fastidi passassero. Forse la donna sentiva che la situazione peggiorava e aveva chiesto di chiamare il marito, ma qualcuno le aveva fatto presente che la distanza tra San Giorgio Jonico e Andria era troppa. E così era rimasta sotto l’albero. È morta lì: l’intervento del 118 non è servito, il suo corpo è finito direttamente nella camera mortuaria del cimitero di Andria.

Già da qualche giorno la donna aveva avvertito i primi sintomi di dolore al braccio ed eccessiva sudorazione, ma quelle due ore di fatica e di stress, dalle 5.30 alle 7.30, secondo il legale della famiglia, avevano aggravato una patologia esistente. Nella perizia si legge che “la condotta dell’imputato non fu causa esclusiva, le richiamate violazioni di legge, esposero la Clemente a rischi specifici aggravati che non avrebbe avuto in caso di osservanza”.

La difesa degli avvocati Bepi e Angela Maralfa ha però sostenuto che l’autopsia è stata effettuata ben 43 giorni dopo dalla morte: un tempo eccessivo che avrebbe impedito agli esperti di determinare chiaramente la effettiva causa del decesso. Una tesi che potrebbe aver fatto breccia nel giudizio del tribunale. La tragica storia di Clemente aveva scatenato all’epoca l’indignazione dell’intero Paese: il caporalato era balzato ai primi posti nell’agenda di governo. Il ministero del Lavoro, la Regione Puglia e le forze dell’ordine avevano persino costituito una task force per contrastare la nuova schiavitù dei campi. Denunce e arresti si sono susseguiti.

Per la morte di Clemente, infatti, furono avviate due inchieste: oltre a quella contro Terrone, in cui oltre ai familiari di Paola con l’avvocato Giovanni Vinci, si erano costituiti parte civile anche l’associazione “12 giugno per le vittime sul lavoro” con l’avvocato Antonella Notaristefano e la Regione Puglia, è ancora in corso un secondo processo sulle modalità di reclutamento dei braccianti: in 6 sono accusati, a vario titolo, di aver sfruttato, minacciato e intimidito i lavoratori, in gran parte donne, di non chiamarle più se non avessero accettato quei pochi euro per intere giornate con la schiena piegata tra i campi. La prossima udienza è fissata per il prossimo 8 maggio: il tribunale di Trani ha previsto la celebrazione di due udienze settimanali per evitare la prescrizione.

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