Macondo, ovvero il “posto più controllato della Nazione”, così almeno lo definiva Laura Bonafede nel diario che teneva per comunicare con Matteo Messina Denaro. Secondo il gip Alfredo Montalto non ci sono dubbi, Macondo è Campobello di Mazara: “ll nome Macondo è uno degli svariati rimandi letterari utilizzati dal Messina Denaro, in questo caso per indicare il comune di Campobello di Mazara, che evidentemente fa riferimento al nome del paese immaginario della foresta colombiana dove Gabriel Garcia Màrquez ambienta Cent’anni di solitudine”. Josè Arcadio vaga nella foresta con un gruppo di famiglie al suo seguito, hanno abbandonato la città e sono in cerca di una nuova vita. Nella foresta Arcadio sogna la città di Macondo e prenderà spunto dal sogno per fondarla. Da Cent’anni di solitudine a trent’anni di latitanza il passo per Laura Bonafede e Matteo Messina Denaro sembra breve, è dal libro di Marquez che traggono spunto per uno dei tanti nomi in codice, forse il più suggestivo.

E c’è anche Macondino, ovvero la frazione di Tre fontane, in sostanza la zona mare di Campobello. “Carissimo Amico mio è tardissimo ma voglio stare con te ugualmente, domani sono certo che non potrò, mi aspetta una serata poco piacevole. Oggi sono stato a Macondino e quando stavamo andando via c’erano gli Sbrighisi al completo, erano a fare un giro di prova con una potenziale auto di Handicap, perché la sua non funziona bene, Ci siamo salutati da lontano e mentre stavamo per partire Sbrighisi ci ha fatto segno se volevamo limoni e così ci siamo soffermati a parlare e Sbrighisi ha detto a Tany che quando voleva poteva andare a trovarlo. Poi in auto commentavamo con Tany che quando questo invito è per la gioia di Donna così placa la sua curiosità di vedere la casa di Sbrighisi e Tany mi rispose che era stata Donna a dire: qualche giorno veniamo. Penso che per dire ciò, Sbrighisi prima ne abbia parlato con te. Dammi risposta per favore”.

Marquez non è tuttavia l’unico scrittore sudamericano citato nelle lettere d’amore tra Laura e Matteo: “ll tugurio: stavamo bene in quel posto; si ero felice di trascorrere quel tempo insieme, penso che lo sapevi che era così. Nel libro c’è un tratto segnato in cui Niño buono dice che il posto dove viveva era un tugurio ma per lui era una reggia perché li aveva vissuto momenti felici. Credo sia stato segnato in riferimento al nostro tugurio”. Il niño buono, in riferimento alla Nina mala, il titolo originale di Avventure della ragazza cattiva, il noto romanzo dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, libro che Laura aveva a casa sua, come hanno scoperto i Ros durante la perquisizione fatta lo scorso marzo. Un romanzo che racconta la storia d’amore tra il protagonista, Riccardo e la “ragazza cattiva”. Una storia travagliata che si sviluppa nel tempo, con un andamento a singhiozzo, con frequenti sparizioni e riapparizioni di lei. Riferimenti letterari, dunque, molto aderenti al vissuto di Laura e Matteo, che vivono per un periodo assieme, ma poi, probabilmente costretti dalle indagini dei “nemici” (così Laura chiama le forze dell’ordine, nei pizzini-diario indirizzati al boss).

E forse anche Blu, nome in codice di Laura, usato nella corrispondenza tra i due, potrebbe avere un riferimento letterario. Era, d’altronde il colore del vestito indossato da Madame Bovary quando incontrò il futuro marito Charles Bovary, e l’incontro tra Laura e Matteo è rivangato da Laura nello scambio epistolare di amorosi sensi con Messina Denaro: “Ne avevo sentite tante su di te, anche troppe. Ma mai avrei pensato di poterti io conoscere, semplicemente non rientrava nei miei piani di vita, ancora più semplicemente non ci avevo mai pensato. Ad un tratto è accaduto che ti ho incontrato…”, così scriveva Laura nel 2012, firmandosi Loredana, uno dei tanti nomi in codice, alla fine della missiva pure abbreviato in Lory. Dal Sud America alla Francia? Che la letteratura francese fosse di gradimento del boss lo rivela un altro pizzino: “Credo, mio malgrado, di essere diventato il Malaussène di tutti e di tutto, ma va bene così…”, scriveva Messina Denaro nello scambio intrattenuto tra il 2004 e il 2006 con l’allora sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino. Il capro espiatorio, come nel personaggio creato da Daniel Pennac nel ciclo di Belleville, nome del quartiere di Parigi dove sono ambientate le storie. Benjamin Malaussène lavora presso un grande magazzino prima, poi presso le Edizioni del Taglione come capro espiatorio: ogni volta che un cliente si lamenta la colpa viene data a lui che è anche il primogenito di una numerosa famiglia. In lui si rivede l’ormai ex latitante che nel covo di San Vito a Campobello conservava una folta libreria dove campeggiava anche l’autore giapponese Haruki Murakami e una serie di film tra cui spiccava il cinema francese.

Di certo i riferimenti al niño bueno di Vargas Llosa, a Benjaimn Malaussène di Pennac, perfino a Josè Arcadio, o quantomeno alla città fantastica creata da Marquez riflettono l’immagine che il boss ha di sé: un capro espiatorio, un bravo ragazzo, costretto a vivere in una città fantastica dai “nemici”, mentre negli interrogatori sminuisce l’atrocità dei delitti commessi: non ordinò di uccidere il piccolo Di Matteo e Antonella Bonomo non era incinta. Sembra il “lobito bueno”, il lupetto buono maltratto dagli agnelli nella poesia di Paco Ibáñez “un mondo al revés”: un mondo al contrario.

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