Sulla riforma del Patto di stabilità , che deve essere approvata entro fine anno, i Paesi europei continuano a essere distanti. Martedì i ministri dell’Economia dei 27 si sono visti a Bruxelles e secondo il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Valdis Dombrovskis “hanno raggiunto una convergenza su una serie di elementi e principi chiave per la revisione delle regole fiscali Ue” fornendo “input alla Commissione per avanzare con le proposte legislative che pensiamo di presentare subito dopo il Consiglio europeo”. Dietro il gergo diplomatico che rivendica il segnale di unità ci sono però crepe macroscopiche. Tanto è vero che subito dopo il Consiglio Ecofin vero e proprio, che è finito con un nulla di fatto, un gruppo di ministri, ambasciatori ed esperti economici è stato incaricato di buttar giù un testo di “conclusioni” che potessero accontentare tutti. Ma la verità è che non c’è un’intesa sulle proposte arrivate a novembre dall’esecutivo Ue. Proposte imperniate su un aggiustamento fiscale più graduale (mantenendo però invariati i limiti dei trattati, 3% per il deficit/pil e 60% per il debito/pil), piani di bilancio preparati da ciascuno Stato membro e percorsi di rientro concordati con la Commissione per la spesa primaria netta.

Il documento finale del Consiglio è stato modificato in extremis per inserire la richiesta alla Commissione di “tenere conto delle opinioni convergenti degli Stati membri e a continuare a confrontarsi con gli Stati membri nelle aree individuate per ulteriori discussioni“. È un punto cruciale che riflette le richieste di Berlino, il cui ministro dell’Economia liberale Christian Lindner, se ce ne fosse stato bisogno, ha ribadito che “sulla revisione della governance economica non c’è carta bianca” alla Commissione e “nelle discussioni degli ultimi giorni è emerso chiaramente che alcuni, o per essere più precisi un numero considerevole di Stati membri, sono preoccupati che i loro commenti e le loro considerazioni e la loro situazione particolare non vengano adeguatamente presi in considerazione“. “La Germania e gli altri Stati membri chiedono alla Commissione di impegnarsi nel lavoro di chiarimento di ulteriori aspetti. Lo faremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi”, ha ammesso dal canto suo il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni.

Per il ministro dell’Economia italiano Giancarlo Giorgetti è “molto importante” aver ribadito “la responsabilità nazionale nei piani di bilancio di medio termine dei singoli paesi. Siamo consapevoli e rispettosi delle diverse visioni e delle preoccupazioni di alcuni Paesi come la Germania. Al tempo stesso riteniamo fondamentale che le future regole fiscali promuovano gli investimenti in tutti i settori strategici, compreso l’ambiente, la digitalizzazione e la difesa”.

I punti controversi – C’è un accordo di massima solo sul passare a piani nazionali a medio termine, concordati dagli Stati con la Commissione Ue (e approvati dal Consiglio) quanto a politiche fiscali, riforme e investimenti, dove la spesa primaria netta diventa il singolo indicatore operativo, archiviando i precedenti indicatori dell’’output gap’ (differenza tra pil effettivo e potenziale) e deficit strutturale (cioè depurato dal ciclo economico). Sono controversi i criteri che si useranno per concordare i piani nazionali e uniformare le premesse per la valutazione dei piani dei diversi Paesi. I Paesi ‘frugali’, la Germania su tutti, vogliono che ci siano dei target annuali predefiniti con impegni sul ritmo di riduzione del debito pubblico. Alla Commissione si chiede di fissare criteri numerici sui bilanci che consentano un controllo su quanto concordato dai singoli Stati. C’è dissenso anche sull’assetto delle autorità nazionali ‘indipendenti’ che dovrebbero intervenire nei controlli.

Lo scontro sulle raccomandazioni di primavera – A maggio la Commissione invierà ai 27 le nuove raccomandazioni del ‘pacchetto di primavera’ con requisiti differenziati in base alle sfide di sostenibilità del debito, cercando un equilibrio tra le attuali regole del Patto di stabilità, sospeso dall’inizio della pandemia, e quelle nuove in via di approvazione. Nei giorni scorsi era emerso che, in linea alla riforma ipotizzata da Bruxelles, sarebbe stato indicato un valore per la spesa primaria netta (al netto delle entrate una tantum e della spesa per interessi e per disoccupazione). Ma la Germania non ne vuole sapere: ha avvertito che fino alla riforma vanno applicate le regole del vecchio Patto su ‘output gap’ (differenza tra pil effettivo e potenziale) e deficit strutturale (cioè depurato dal ciclo economico). “Vogliamo un percorso affidabile, credibile e costante per ridurre il deficit e il debito pubblico in Europa. Lo dobbiamo alle nuove generazioni, ma è anche un requisito di stabilità finanziaria in vista dell’aumento dei tassi di interesse per i titoli di Stato”, ha chiuso Lindner.

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