“Non avrei voluto che circolassero”, queste che non sono “nemmeno calunnie”, ma “pattumiera con un fondamento nel nulla, e che dentro il Csm si usassero questi strumenti per mettere in cattiva luce un consigliere”. Così Sebastiano Ardita, magistrato ed ex consigliere di palazzo dei Marescialli, ha testimoniato nel processo a Brescia a carico dell’ex collega Piercamillo Davigo, accusato di rivelazione di segreto per aver fatto circolare tra membri del Csm e parlamentari i verbali dell’interrogatorio di Piero Amara, l’ex avvocato dell’Eni che parlava dell’esistenza della presunta “loggia Ungheria“, ricevuti dal pm milanese Paolo Storari. Tra i presunti membri della loggia era indicato proprio il nome di Ardita (insieme a quello di un altro ex consigliere), ed è per questo, sostiene Davigo, che le dichiarazioni di Amara non potevano essere condivise in via formale con tutto il Csm. Secondo Ardita, però, “Davigo aveva capito perfettamente che le dichiarazioni erano false” perché “non corrispondeva nulla, nemmeno la mia funzione e il mio ruolo, cose appiccicate da chi sente qualcosa e le mette insieme”. In particolare, afferma, l’ex pm di Mani Pulite si sarebbe dovuto accorgere che quelle di Amara erano “affermazioni sgangherate” perché come capo della loggia Ungheria era indicato Gianni Tinebra, un magistrato siciliano con cui “dal 2006 avevo un rapporto conflittuale per cose non sanabili”.

Davanti al collegio bresciano si è presentata anche l’ex assistente di Davigo al Csm, Marcella Contrafatto, indagata a Roma per aver consegnato materialmente i verbali a due giornalisti, Antonio Massari del Fatto e Liana Milella di Repubblica. Essendo imputata in un procedimento connesso, ha potuto avvalersi della facoltà di non rispondere. Ha risposto invece Giuseppe Marra, un altro ex consigliere del Csm che ricevette i verbali da Davigo (e per questo è indagato a Roma): i documenti segreti, ha raccontato, gli erano stati consegnati in una cartellina lasciata sulla scrivania il 21 ottobre 2020, il giorno dopo che il collega era stato dichiarato decaduto dal Csm per il suo pensionamento dalla magistratura. Una sorta di passaggio di consegne, “perché forse in quel momento ero la persona a lui più vicina“, ha spiegato. Ma ha aggiunto: “Dopo due-tre settimane le distrussi. Erano cose che preferivo non avere perché era una cosa che non si capiva se ci fosse, erano documenti che scottavano, non volevo guardarli. Li ho strappati, li ho messi una busta grande e li ho buttati in un cassonetto della carta. Se devo rimproverarmi, mi rimprovero di questo, di non averli dati a Ermini (l’ex vicepresidente del Csm, ndr), così non mi ritrovavo in questo pasticcio”.

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