“Con la poesia è possibile scendere in profondità dentro di sé, tirar fuori quello che dilaga dentro. E questo è fondamentale per chi è in carcere. Se non si riesce a dargli forma, a nominarli, questi sentimenti ti possono rompere”. Silvana Ceruti conosce bene il dolore, la rabbia e la frustrazione delle persone detenute. Da 29 anni, ogni sabato mattina dalle 9 alle 12, si siede con loro intorno a un tavolo ovale e condivide un progetto: il “Laboratorio di lettura e scrittura creativa” da lei stessa fondato nel 1994 nel carcere di Milano Opera.

Non si tratta di lezioni. Non c’è una cattedra, né una gerarchia tra insegnante e alunni. È un percorso di condivisione di vissuto, di emozioni, a cui partecipano tutti attivamente, siano essi volontari o persone detenute. “Ci disponiamo tutti intorno a questo tavolone, come fosse un ponte che collega le nostre vite, le nostre esperienze, e in queste tre ore facciamo un pezzo di viaggio insieme”, racconta Ceruti a ilfattoquotidiano.it. Dopo essersi laureata in pedagogia e in filosofia e aver fatto per anni l’insegnante elementare a Milano, ha scelto di dedicarsi con passione a questo percorso di reinserimento delle persone detenute: “È gratificante. Non è facile fare incontri di questo tipo fuori”, spiega.

Nella prima parte dell’incontro si respira un’energia particolare. “Le persone arrivano molto cariche perché hanno atteso tutta la settimana di poter leggere ciò che hanno scritto. Hanno proprio l’urgenza di leggere le poesie, gli aforismi e le riflessioni su cui hanno lavorato”, continua Ceruti, descrivendo come si articola il laboratorio. La prima ora e mezza è dedicata a fare il giro di ciò che ciascuno ha portato. Ogni componimento viene commentato, partendo sempre dal valorizzare ciò che è positivo: un bell’incipit, una metafora utilizzata in modo efficace. Ognuno ascolta l’altro con partecipazione. Dedica attenzione a ciò che gli altri compagni di viaggio hanno tirato fuori.

“Poi facciamo una piccola pausa, in cui mangiamo insieme qualcosa. È un elemento di convivialità molto importante”, racconta ancora Ceruti. E scherza: “Qualcuno viene anche solo perché sa che ci sarà un merenda. E va bene così, fa parte della relazione che si crea tra chi partecipa agli incontri. Sono proprio le relazioni a salvare le persone. Chi è dentro non ne ha avute molte”. Dopo la pausa, l’incontro prosegue: si leggono opere di poeti e scrittori famosi, ci si confronta con ospiti invitati di volta in volta, e si scrive. “Anche noi volontari lo facciamo. Scriviamo di tutto, come per esempio della carta di una caramella. La poesia non sta negli oggetti, è un modo di guardare”.

In un ambiente maschile e complesso come quello del carcere è difficile trovare una via per esprimersi, per accettare che è possibile condividere un pezzo di strada con qualcun altro. Senza sentirsi giudicati, senza sentirsi deboli. Leggere e scrivere poesia permette di scoprire un linguaggio nuovo e autentico. Una lingua perfetta per imparare ad ascoltarsi e ad ascoltare gli altri. “Cerchiamo di trasformare le ferite in parola”, spiega Ceruti. In questo modo è possibile ricostruire il rispetto e la stima di sé di cui la prigione può privarti. Sono fondamentali per evitare la recidiva una volta fuori.

Le attività aiutano a non cadere nell’ozio durante la detenzione, un modo per cercare di conservare la salute, soprattutto mentale, in condizioni di vita difficili: “Mi raccontano dei problemi che vivono quotidianamente. Il sovraffollamento è il principale. Forse dovremmo rivalutare l’utilità del carcere, almeno per alcuni tipi di reati”. Secondo gli ultimi dati diffusi a ottobre dal ministero della Giustizia, ad Opera i posti regolamentari sono 918, ma la casa di reclusione ospita 1334 persone detenute. In cella non ci stanno, per vestirsi devono alzarsi uno per volta, altrimenti non c’è spazio.

“Mettono sul foglio un vissuto difficile. Ne parliamo solo attraverso la poesia. Non chiediamo mai a chi partecipa perché è dentro. Ci sono persone di 28 anni e di 70, condannati a diverse pene, anche all’ergastolo”. In tutto ora le persone detenute che partecipano al laboratorio sono 12. Prima del Covid erano 20, poi la pandemia ha minato il gruppo che, però, appena possibile si è ricostituito con nuovi ingressi.

All’iniziativa prendono parte dieci volontari, un piccolo gruppo che negli anni si è innamorato del progetto e ha affiancato Ceruti: il giornalista e poeta Alberto Figliolia, da 15 anni co-coordinatore del laboratorio; Gerardo Mastrullo che con la sua casa editrice “La vita felice” ha pubblicato dieci antologie, raccogliendo i testi scritti durante il laboratorio. Queste opere ospitano le prefazioni di alcuni importanti nomi della cultura italiana, e non solo. Tra questi, Umberto Veronesi, Marco Garzonio, Maurizio Cucchi e Vito Mancuso. Infine, il gruppo di volontari può contare sulle fotografie di Margherita Lazzati, grazie al cui lavoro, da oltre dieci anni, viene realizzato il “Calendario poetico” – l’edizione del 2023 verrà presentata il 21 febbraio, dalle ore 16 alle ore 19, nella sala Alessi di Palazzo Marino, a Milano.

Dopo 29 anni, Silvana Ceruti è ancora appassionata come il primo giorno: “Si possono fare esperienze straordinarie creando dei rapporti con queste persone”. Prova a fare mente locale, per ricordarsi di qualche momento che l’ha colpita maggiormente dal 1994 a oggi. Ma sono i piccoli gesti di gentilezza a colpirla quotidianamente. “È nel piccolo che ci scopriamo”, dice. Poi si ricorda un episodio particolare, una grande soddisfazione, quando una persona detenuta, rileggendo quello che aveva scritto, l’ha guardata e le ha detto: “Sai, io non sapevo di avere queste cose dentro”.

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