“La presidente del Consiglio dei ministri italiana presto in Tunisia”. Così titolavano a inizio gennaio molti dei quotidiani tunisini, annunciando l’imminente visita di Giorgia Meloni per “affrontare il tema dell’immigrazione irregolare”, ma non solo. L’Italia si è infatti affermata nel 2022 come primo partner commerciale della piccola repubblica nordafricana, superando colossi come la Cina e la Russia e addirittura la Francia, storico “alleato-padrone” dei paesi del Maghreb, e questo ha illuso molte parti della società tunisina, che ha visto nel successo commerciale un primo punto di partenza per una collaborazione più proficua tra i due paesi del Mediterraneo. L’attesa visita della premier però non ha mai avuto luogo e questo ha irritato non poco la controparte tunisina. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una frase pronunciata dalla stessa premier durante la conferenza stampa dello scorso 23 gennaio ad Algeri, nel contesto delle interlocuzioni sul cosiddetto “Piano Mattei per l’Africa”: “La nostra lunga chiacchierata (con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboun, ndr) è stata anche un’occasione per parlare degli scenari internazionali in Africa” spiegando che si è discusso, tra le altre cose anche “di Tunisia”.

In Tunisia è scoppiato quindi il “caso Meloni”. L’analista politico Ibrahim al-Waslati, ripreso dal quotidiano panarabo Al-Quds al-Arabi, ha infatti scritto sui suoi profili social che “Giorgia Meloni ha fatto un’importante visita in Algeria, dove ha concluso la firma di quattro memorandum di intesa e cooperazione. Dopodiché ha fatto una visita analoga in Libia, dove è stato concluso con il premier Dbeibah uno ‘storico’ accordo sul gas da otto miliardi di dollari. Quanto alla Tunisia, la Meloni si è accontentata di inviare il suo ministro degli Esteri, accompagnato dal ministro degli Interni, a fare più pressione per fermare le ‘orde’ di immigrati clandestini”. Dello stesso parere è anche l’ex diplomatico Ahmed Al-Qudidi, che ha scritto in un post su Facebook: “La premier italiana ha letteralmente detto: ‘Abbiamo anche parlato della Tunisia e degli scenari previsti in questo paese!’. Spero che lo dicano anche a noi cosa si aspettano dagli scenari del nostro paese”, invitando il ministro degli Esteri Othman al-Jarandi a protestare contro l’Algeria e l’Italia per interferenza negli affari interni della Tunisia.

Le parole della premier italiana riportano alla mente di molti tunisini alcune dichiarazioni che il presidente algerino Tebboun fece durante la sua visita a Roma lo scorso 26 maggio. Il capo dello stato algerino aveva infatti spiegato, durante una conferenza stampa con il presidente Mattarella, che Roma e Algeri condividono “la stessa visione sulla Tunisia” spiegando che le due parti sono pronte “ad aiutarla a uscire dall’impasse in cui è entrata per riprendere il cammino democratico”. La Tunisia si sente infatti minacciata da dai due colossi energetici nordafricani, Algeria e Libia, (ma anche dall’Italia per la questione dell’immigrazione illegale), e teme di essere relegata a spettatore del suo destino nella regione mediterranea.

Il 23 gennaio, durante la visita della premier Meloni, tra gli accordi di collaborazione siglati figura soprattutto quello che impegna l’Eni e la Sonatrach algerina al completamento della linea Galsi (Gasdotto Algeria Sardegna Italia), destinata al trasporto di gas naturale, attraverso il Mediterraneo e la Sardegna, verso Piombino in Toscana, tagliando fuori di fatto la Tunisia dalla quale oggi passa il Transmed, unico gasdotto algerino-italiano in funzione. Il progetto per la linea Galsi si era bloccato negli anni successivi lo scoppio della Primavera araba, ma con l’invasione russa dell’Ucraina si è reso necessario un suo ripristino con l’obiettivo di fare dell’Italia – come da speranze del governo – un “hub energetico per l’Europa”, con benefici economici importanti per l’Algeria. La Tunisia, d’altra parte, si vede sempre più fuori dai grandi progetti mediterranei ed è precipitata in una crisi economica e sociale che sembra non avere fine e che, se non presa sul serio dalle potenze regionali (Italia per prima), potrebbe portare all’esplosione di una nuova crisi migratoria in tutto il Mediterraneo.

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