Alcuni risparmiatori si sono presentati in mutande davanti all’aula bunker di Mestre per assistere alla lettura della condanna d’appello nei confronti di Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca, uno dei due istituti di credito veneti (l’altro è Popolare di Vicenza) che nel 2015 furono travolti dal crack. I giudici hanno ridotto da 4 a tre anni la pena nei confronti del manager, indicato finora come l’unico responsabile del dissesto che ha ridotto sul lastrico alcune decine di migliaia di persone. La spiegazione sta nell’applicazione della prescrizione per il reato di falso in prospetto sull’aumento di capitale. È rimasto in piedi il reato di ostacolo agli organismi di vigilanza, con una riduzione di un anno. La Corte presieduta da Carlo Citterio ha inoltre revocato la confisca disposta dai giudici di primo grado di 221 milioni di euro, orientandosi agli orientamenti europei secondo cui la confisca non può essere una duplicazione della condanna al risarcimento dei danni, già fatti propri nella sentenza riguardante la Banca Popolare di Vicenza di Giovanni Zonin.

“I risparmiatori non gioiscono, ma non certo per la revoca della confisca che era di fatto inapplicabile, anche se la cifra fa un certo effetto. – commenta l’avvocato Andrea Arman, presidente del Coordinamento don Torta – La prescrizione era prevista, ma la nostra amarezza è grande perché dopo 7 anni nessuno ci ha ancora spiegato perché le banche venete sono fallite. Fino al 2014 avevano passato i controlli dei revisori dei conti e degli ispettori della Banca d’Italia, che certo non potevano essere imbrogliati facilmente. Nessun politico e nessun giudice ha spiegato che cosa accadde, perché il dissesto si verificò nel 2015, quando Consoli non era più amministratore”. In un sit improvvisato davanti all’aula bunker Arman ha aggiunto: “Lo Stato deve distribuire ai risparmiatori i 500 milioni che sono rimasti del fondo da un miliardo e mezzo stanziato per i rimborsi. Quelli sono soldi dei risparmiatori per legge dello Stato, che ora non deve far altro che applicarla”.

Su questo punto Luigi Ugone, portavoce dell’associazione Noi che credevamo nella Popolare di Vicenza, ha annunciato per l’11 febbraio una manifestazione a cui sono stati invitati anche rappresentanti del governo. “C’è un impegno preciso di Giorgia Meloni, che risale alla campagna elettorale, per distribuire quei soldi e noi chiediamo che ciò avvenga fino all’ultimo euro”. L’ex sindaco di Resana, Loris Mazzorato, è l’uomo che si è presentato in mutande. “Non siamo alla ricerca di capri espiatori come Consoli, ma dei veri responsabili. – ha detto – In primo luogo Bankitalia e poi la Banca Centrale Europea che avevano sottoposto i bilanci di Veneto Banca a stress test a fine 2014. Poi il crollo seguito alla trasformazione in società per azioni, dopo che Matteo Renzi e il ministro Carlo Padoan avevano rassicurato che gli istituti erano solidi e i risparmi al sicuro: per loro le banche si sarebbero addirittura accresciute di valore. Invece siamo finiti tutti in mutande”.

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