Maiali e suinetti agonizzanti, incapaci di muoversi e senza accesso all’acqua, abbandonati tra feci e urine. I corpi di altri piccoli suini morti, dilaniati dalle madri a causa del forte stress, restano nella gabbia delle scrofe. E, ancora, contenitori ricolmi di placenta e teste in putrefazione. Sì, sembrerebbe un girone dell’Inferno di Dante, se non fosse la realtà che si è trovato davanti il team investigativo di Animal Equality, in un allevamento intensivo di maiali, in provincia di Brescia. Anche da luoghi come questo può provenire la carne che arriva sulle tavole degli italiani. Perché l’azienda in questione “rifornisce alcuni consorzi di prodotti a marchio Dop, simbolo della cosiddetta ‘eccellenza’ del Made in Italy” spiega Animal Equality. E che alcuni degli animali presenti nell’allevamento appartengano alla catena Dop è stato confermato dall’analisi dei suini: è stata riscontrata la presenza dei codici che vengono apposti sugli animali destinati alla produzione di prodotti a marchio Dop sia su un suino all’interno delle recinzioni per l’ingrasso, sia su uno degli animali abbandonati all’esterno dei box, con una paralisi degli arti posteriori.

Un’indagine partita nel 2019 e da cui è partito un esposto – già nel 2019 Animal Equality aveva segnalato alle Autorità quanto riscontrato nell’azienda, presentando un esposto presso la Procura della Repubblica competente. Tutto in seguito a una prima video-inchiesta, realizzata insieme al Tg2 e trasmessa a luglio di quell’anno. Le immagini raccolte avevano messo in evidenza gravi violenze da parte degli operatori nei confronti degli animali allevati. Maltrattamenti, mutilazioni illegali senza anestesia dei suinetti e uccisioni violente dei maiali. Dopo l’esposto, Animal Equality ha continuato a tenere ‘sotto osservazione’ l’allevamento, raccogliendo nuove immagini nel 2020 e, in ultimo, tra febbraio e aprile 2022. Gli ultimi approfondimenti hanno portato alla luce ulteriori problematiche, tanto che l’organizzazione ha depositato integrazioni all’esposto per segnalare lo stato di degrado dello stabilimento, la violazione delle norme sul benessere animale e il possibile inquinamento ambientale provocato dall’azienda, che rifornisce anche i consorzi Dop.

Le immagini dell’allevamento – Un paradosso se si guardano le immagini fornite dall’associazione: animali circondati da sporcizia, porzioni di soffitto a rischio caduta proprio sopra gli animali, ruggine e liquami sul pavimento. Teste di suinetto in putrefazione e cadaveri di cuccioli appena nati abbandonati nelle sale maternità dell’azienda, nei corridoi dell’allevamento e al suo esterno, in contrasto con quanto dispone la normativa sulla gestione e lo smaltimento delle carcasse. Da anni, poi, Animal Equality documenta la presenza di scheletri, resti di arti e ossa mandibolari in prossimità delle recinzioni per contenimento dei verri da monta, come se quello fosse ormai per consuetudine il punto in cui le carcasse vengono lasciate a decomporsi, senza predisporre alcuna raccolta, né il loro corretto smaltimento. “Durante l’indagine all’interno dell’azienda è stato in generale riscontrato un alto tasso di mortalità – spiega l’organizzazione – pessime condizioni di igiene e problemi di salute gravi in alcuni degli animali osservati. In aggiunta, le scrofe all’interno delle gabbie parto sono risultate incapaci di prendersi cura dei propri cuccioli a causa delle restrizioni ai movimenti imposte dalle gabbie stesse”.

L’inquinamento ambientale – All’esterno della struttura, ancora una volta è stata riscontrata la gestione scorretta dei liquami: sversati a terra, in prossimità delle vasche di contenimento dei liquami e anche all’interno di uno dei fossati adiacenti ai capanni. Nel 2019, infatti, è stato realizzato un campionamento di liquami dal fossato adiacente l’azienda, risultato positivo alla presenza di coliformi e con alta carica batterica. “L’analisi dimostra l’effettiva natura di liquame, non adatto all’utilizzo come fertilizzante” spiega Animal Equality. Di recente, inoltre, è stata documentata la presenza di altre zone allagate e di liquido sospetto all’interno del fosso adiacente l’azienda. “La carica batterica e i componenti presenti all’interno dei liquami (mistura di deiezioni, acqua piovana ed acque di scolo) non sono adatti allo sversamento a terra e ancor meno allo sversamento in fossato – conclude l’organizzazione – dove le sostanze irregolarmente sversate possono essere trasportate altrove lungo il percorso di deflusso dell’acqua”.

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