Nel locale eliche di prua del Moby Prince non c’era alcun esplosivo. Quel locale fu teatro, sì, di un’esplosione la notte del 10 aprile 1991, ma questa si conferma oggi definitivamente come una deflagrazione dei gas entrati lì dopo la collisione con la cisterna numero 7 della petroliera Agip Abruzzo speronata dal traghetto nel mare di fronte a Livorno. A mettere la parola fine ad una verità già nota dalla fine del 1992 – ed effettivamente mai entrata pienamente in alcun procedimento penale sul caso – è l’ultima consulenza tecnica depositata presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze dal noto esplosivista Danilo Coppe. Coppe ha di fatto confermato gli esiti della consulenza prodotta dalla Commissione d’inchiesta sulla strage Moby Prince – frutto di analisi congiunte – integrandola con l’identificazione dell’errore metodologico che 31 anni fa indusse il perito della Procura di Livorno Alessandro Massari a sbagliare le analisi sui campioni repertati nel locale eliche di prua del traghetto e ipotizzare un’esplosione per effetto di una bomba ad uso civile.

Contattato da ilfattoquotidiano.it, Coppe – che ha già firmato perizie nei casi del crollo del ponte Morandi e della strage di Bologna – spiega che “in aggiunta al lavoro dei colleghi del Racis di Roma che hanno lavorato sulla consulenza per la Commissione d’inchiesta, ho potuto approfondire le verifiche sugli spettrogrammi pubblicati da Massari nella sua relazione e lì sta la prova dell’errore”. Massari, secondo la ricostruzione di questa nuova perizia, avrebbe infatti compiuto una forzatura metodologica sui picchi delle sostanze rinvenute arrivando – chiarisce Coppe – a “vedere in buona fede quello che non c’era”.

In aggiunta a questo, la relazione di Coppe consegnata alla Dda contiene anche una verifica puntuale dell’altra ipotesi avanzata intorno al ritrovamento di quelle tracce di sostanze esplosive da parte di Massari: ovvero il fatto che fossero i resti della combustione di razzi di segnalazione in dotazione al traghetto. “Ho avuto modo di verificare se ci fossero contaminazioni, valutando tutte le dotazioni del genere di cui erano dotati i traghetti in quegli anni – spiega Coppe a ilfattoquotidiano.it – e nessuna di queste aveva gli elementi trovati da Massari, quindi anche in questo caso manca il riscontro tecnico“.

Si chiude quindi definitivamente il capitolo degli accertamenti sull’esplosione avvenuta nel locale eliche di prua del Moby Prince, mai tuttavia entrata nei procedimenti penali e civili sul caso come ipotesi di reato. E si chiude con la conferma della verità emersa dal tribunale di Livorno: in quel locale del traghetto ci fu una deflagrazione da gas e sul Moby Prince non c’era alcuna bomba. Erano quindi sbagliate sia l’ipotesi dell’attentato esplosivista avanzata pubblicamente dall’armatore del Moby Prince Vincenzo Onorato da ultimo nel documentario Rai Il mistero Moby Prince sia l’ipotesi della “truffa assicurativa” legata alla polizza “Rischi guerra” che copriva il Moby Prince per un valore di stima superiore a quello di mercato.

Riguardo a quest’ultima la parola fine è arrivata tramite la Commissione d’inchiesta della Camera nel settembre 2022, per voce del consulente esperto Enrico Molisani di MR International Lawyers. In contrasto con quanto descritto dalla precedente Commissione d’inchiesta del Senato, scrive infatti Molisani che quella polizza “era del tutto usuale anche in tempo di pace” per coprire specifici rischi come quello di “mine/bombe o altri ordigni di guerra” oppure “sommosse”, a quanto pare ritenuti plausibili anche nell’aprile 1991 tra il continente e la Sardegna per le principali compagnie di navigazione sulla tratta. Ilfattoquotidiano.it stesso lo ha verificato con la concorrente dell’allora Navarma, oggi Moby, Corsica Ferries.

Chiuso il capitolo bomba, restano aperte poche piste in grado di riportare la vicenda in un’aula di tribunale – perché solo il reato di strage resta non prescritto – e parrebbe allontanarsi quindi la speranza di giustizia dei familiari delle 140 vittime che ancora attendono di sapere definitivamente motivi e responsabilità sia della collisione tra traghetto e petroliera, sia di quanto contribuì alla morte dei loro cari, ovvero il mancato soccorso delle autorità pubbliche la notte dell’incidente. Da lunedì scorso la consulenza tecnica di Coppe è infatti all’attenzione del magistrato della Dda di Firenze che sta curando nel più stretto riserbo da quattro anni le indagini per strage di matrice terroristica su quanto accaduto, a partire dal documento del Sismi del 2004, già al centro dell’inchiesta parallela curata dalla Procura di Livorno, che riferiva l’incidente a traffici illegali di armi, scorie e rifiuti tossici.

A tal riguardo la consulenza dell’esplosivista contiene anche una suggestione mai emersa finora, sconnessa tuttavia da prove certe e verificate, dedicata alla dinamica della collisione. La suggestione unirebbe il caso Moby Prince all’affondamento della petroliera Haven avvenuto il giorno successivo la strage di Livorno, davanti al porto di Genova. La suggestione lega i due eventi basandosi sul tipo di petrolio trasportato dalle due petroliere: in entrambi casi “iraniano” e, almeno in parte, proveniente dal porto di Sidi Kerir. Secondo tale suggestione quel petrolio avrebbe potuto essere dell’effettivo greggio iraniano sotto embargo statunitense, quindi illegalmente trasportato dalle petroliera, e per questo oggetto di una azione terroristica coordinata che avrebbe dirottato il traghetto Moby Prince verso la petroliera per produrre l’affondamento del suo carico e il giorno successivo condusse all’esplosione della Haven.

Saranno i futuri accertamenti della magistratura a determinare se questa o le altre suggestioni sul caso – come il “terzo natante” cui sarebbe dovuta la virata del Moby Prince verso la petroliera e quindi di fatto una parte della responsabilità della collisione, secondo la Commissione d’inchiesta della Camera -, hanno un qualche fondamento di prova e saranno al centro di un processo penale. Processo che al momento sembra quantomeno lontano al pari della conclusione delle indagini parallele di Dda di Firenze e Procura di Livorno.

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