Inizialmente i morti sembrava fossero cinquanta. Il giorno dopo erano raddoppiate. E ora Julien Paluku, ministro dell’Industria della Repubblica democratica del Congo, ha divulgato il numero delle vittime del massacro perpetrato il 29 novembre nel villaggio di Kishishe, nel Nord Kivu, a circa cento chilometri dal capoluogo della regione, Goma. Le vittime sono 300: responsabili della carneficina, secondo il governo di Kinshasa, sono i ribelli del gruppo M23, che avrebbero così violato la tregua con la ripresa dei combattimenti contro l’esercito nella regione orientale del Paese.

La missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite (Monusco) in Rdc ha denunciato come “atti spaventosi” l’eccidio, invitando “tutte le autorità competenti a indagare senza indugio e ad assicurare i responsabili alla giustizia”. Anche Amnesty International ha reagito chiedendo al M23 di cessare di accanirsi sulla popolazione, dopo che negli ultimi giorni decine di civili non combattenti sono stati uccisi nelle zone orientali del paese in attacchi indiscriminati e, in alcuni casi, con esecuzioni sommarie. “Il gruppo ribelle M23 deve porre immediatamente fine agli attacchi deliberati e indiscriminati contro i civili”, ha dichiarato Flavia Mwangovya, vicedirettrice di Amnesty International per l’Africa Orientale, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi Laghi.

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