TRIESTE – Centrodestra bifronte. In Friuli Venezia Giulia un parlamentare di Fratelli d’Italia chiede di riconoscere l’italiano come lingua ufficiale nelle scuole, con l’effetto di sfrattare l’insegnamento del friulano. In Veneto la Lega di Salvini chiede di far imparare ai bambini il veneto, considerato una vera e propria lingua.

La notizia più recente viene dal Senato dove Roberto Menia, esponente di Fratelli d’Italia, ha lanciato la sua battaglia in difesa dell’identità italiana, attraverso la lingua. “L’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Tutti i cittadini hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla” è scritto in un disegno di legge costituzionale che vorrebbe introdurre questo comma nell’articolo 12 della Costituzione, dove è indicato il tricolore come bandiera italiana. Spiegando l’iniziativa, Menia sostiene che “vanno rafforzati gli elementi identitari che danno un senso comune alla vita di una nazione”, perché “l’evoluzione della nazione, anche e soprattutto tenendo conto delle dinamiche demografiche e delle spinte migratorie, deve trovare un collante e una ragione propulsiva nella lingua. Il fenomeno migratorio pone nuove questioni che attengono, da una parte, al principio di accoglienza e solidarietà, ma dall’altra vogliono che esso si coniughi a quello del mantenimento e della difesa dell’identità italiana”.

Menia guarda anche alla storica diatriba sulle minoranze: “La sottolineatura dell’unità linguistica non è in contrasto con la conservazione delle lingue minoritarie, tutelate dalla Costituzione, ma in alcuni casi elementi di protezione avanzata delle minoranze nazionali o linguistiche diventano strumento per l’imposizione di un monolinguismo nella toponomastica che cancella l’italiano: succede da anni nell’Alto Adige con il tedesco e inizia ad accadere anche nella Venezia Giulia con lo sloveno. In alcune parti del territorio nazionale la centralità dell’italiano è messa in discussione”. E aggiunge: “Gli orientamenti autonomisti esasperati pongono situazioni in cui si tende a valorizzare il dialetto in antitesi alla lingua comune. Nessuno vuole negare l’esistenza delle parlate locali, ma dovrebbero avere un ruolo diverso, rimanendo ad esempio fuori dalle aule scolastiche”. Menia critica anche l’iniziativa dei leghisti veneti, che percorrono “una strada sbagliata, che testimonia le diverse sensibilità tra i partiti della maggioranza”. Riferendosi al Friuli Venezia Giulia conclude: “Ci sono tanti posti dove parlare friulano, a casa, nelle associazioni culturali, non credo sia necessario anche in classe. Tra la difesa dei campanili e la globalizzazione senza freni esiste una via di mezzo, che si chiama identità nazionale e unità linguistica”.

La proposta di Menia, figlio di un esule istriano, protagonista delle battaglie della destra sul confine orientale, è stata accolta criticamente dai politici locali. Il coordinatore regionale del suo stesso partito, Walter Rizzetto, definisce l’iniziativa a titolo “personale” e non di Fratelli d’Italia (i friulani non lo avevano inserito nelle liste locali per il Senato, Menia è stato eletto in Liguria). Il senatore e coordinatore regionale della Lega, Marco Dreosto: “Nessuno tocchi il Friulano. È necessario mettere in atto, e non boicottare, tutte quelle azioni volte a salvaguardare l’identità del popolo friulano, permettendo ai nostri giovani, anche attraverso l’insegnamento nelle scuole, di continuare a parlare in friulano”.

Intanto in Veneto 18 deputati leghisti, capeggiati dal sottosegretario Massimo Bitonci, ex sindaco di Padova, hanno presentato un disegno di legge per introdurre l’insegnamento del “veneto” sin dalla materna. Per farlo ne chiede l’inserimento tra le lingue storiche tutelate nella legge del ’99, ovvero “delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano, il sardo”. Nel 2019 era miseramente fallita una raccolta di firme per sostenere una proposta di iniziativa popolare in tal senso. Adesso la Lega ci riprova con il disegno di legge che prevederebbe l’insegnamento del veneto in parallelo con l’italiano alle materne, mentre alle scuole elementari e secondarie di primo grado “l’uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento”. Inoltre le Regioni potrebbero “promuovere iniziative per la tutela e la valorizzazione delle lingue minoritarie, anche fuori dai confini regionali e nazionali italiani, con particolare riguardo agli ambiti storici o di emigrazione dei relativi insediamenti linguistici” e stipulare accordi con le emittenti di servizio pubblico e le radio e tv locali per programmi in dialetto.

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