Un presidente imputato e un vice presidente plurimputato. È il singolare primato del nuovo governo siciliano presieduto da Renato Schifani, imputato a Caltanissetta per rivelazione di segreto nell’ambito del processo per corruzione all’ex numero uno di Confindustria, Antonello Montante. Schifani ha finalmente formato la squadra di governo e come suo vice ha scelto Luca Sammartino, il ras di consensi catanese che è a processo due volte, entrambe per corruzione elettorale. L’esponente della Lega è accusato di aver garantito assunzioni in cambio di voti e raccomandazioni, ma in uno dei due processi a garantirgli sostegno elettorale sarebbe stato – secondo la procura – Girolamo Lucio Brancato, ritenuto esponente di spicco del clan mafioso dei Laudani. A Sammartino, però, non viene contestata l’aggravante mafiosa.

Cade dunque ogni tabù e sembrano ormai lontanissimi i tempi in cui infuocava la polemica sui cosiddetti impresentabili, ovvero sui candidati alle elezioni con procedimenti penali ancora in corso: adesso sono direttamente ai vertici del governo. Questo è il primo dato che emerge dalla composizione del governo regionale. Nel pomeriggio di martedì il governatore ha firmato i decreti di nomina, mentre la giunta sarà presentata ufficialmente in mattinata: dalle elezioni sono passati ben 50 giorni. E se all’inizio l’impasse è stato dovuto agli errori dei presidenti di sezione che hanno sbagliato a compilare le schede e alla legge regionale che impone la formazione del governo solo dopo l’insediamento dei deputati, negli ultimi giorni il ritardo era stato dovuto solo a causa degli scontri dentro al partito di Giorgia Meloni e al braccio di ferro tra Fdi e lo stesso Schifani.

Dovevano essere 4 gli assessori del partito della premier e quattro saranno ma con un cambio voluto da Roma che ha lasciato molti mal di pancia all’interno di Fdi. E che ha costretto il neo governatore a cedere sulla regola che aveva dettato, ovvero di non fare entrare in giunta candidati non eletti alle regionali. Hanno infine vinto le pressioni romane e Schifani adesso ne esce di sicuro indebolito, di fronte soprattutto alle accuse di una parte del suo stesso partito, Forza Italia, che aveva accusato il governatore perché troppo filo meloniano. Di certo, la decisione di cedere alle pressioni romane sembra dare ragione a questa lettura. D’altronde lo stesso Schifani era stato scelto da Ignazio La Russa e Giorgia Meloni come candidato governatore: una scelta incassata a denti stretti da Gianfranco Micciché, coordinatore di Forza Italia in Sicilia. Adesso, a un mese e venti giorni dalle elezioni, il peso di Fdi nel governo siciliano sembra, secondo tutti gli osservatori, preponderante.

Di certo nella nuova giunta non entra nessun “uomo” di Micciché, mentre sono ben 4 gli assessori di Fdi. Ma proprio la scelta di questi 4 nomi fa prevedere non poche frizioni all’interno della maggioranza di centrodestra. Restano fuori, infatti, Giusi Savarino e Giorgio Assenza, due fedelissimi di Nello Musumeci, il neo ministro del Sud e del Mare che ha fatto confluire il suo movimento – Diventerà bellissima – in Fdi. Savarino e Assenza sono stati sacrificati però dallo stesso ex governatore che ha preferito il suo delfino Ruggero Razza, l’ex assessore alla salute a processo per lo scandalo Covid. In giunta non entra Razza ma sua moglie, Elena Pagana, l’ex grillina passata prima in Attiva Sicilia e poi in Fdi ma bocciata alle urne alle regionali del 25 settembre. Al posto di Giorgio Assenza entra invece Francesco Scarpinato, primo degli eletti nelle file di Fdi alle comunali ma anche lui bocciato alle regionali. A favore di Scarpinato è andato il pressing di Francesco Lollobrigida, ministro alla Aovranità alimentare e cognato di Giorgia Meloni, sponsor pure di Elvira Amata, anche lei bocciata nella lista di partito ma eletta perché inserita nel listino del presidente e indicata in giunta sin dall’inizio. Tra gli ex di Diventerà bellissima si salva solo Alessandro Aricò, che avrà la delega alle Infrastrutture. Gli altri tre neoassessori di Fdi sono dunque Elvira Amata che andrà ai Beni Culturali, Scarpinato al Turismo, Pagana al Territorio e Ambiente.

In quota Forza Italia entrano, invece, Giovanna Volo, manager dell’Asp in pensione, sorella di Grazia Volo, avvocata tra gli altri di Lillo Mannino, che gestirà il fondamentale assessorato alla Sanità. Sempre in quota Forza Italia, ma nell’ala lontana da Micciché, rientra Marco Falcone, ex assessore alle Infrastrutture per Musumeci, che adesso guiderà l’Economia. Per i berlusconiani avrò la delega alle Attività produttive anche Edy Tamajo, l’ex renziano recordman di preferenze, entrato da poco in Forza Italia grazie a Micciché ma indicato in giunta dopo un accordo diretto con Schifani. Per la Lega c’è, invece, Luca Sammartino all’Agricoltura e l’ex assessore al territorio Mimmo Turano, che andrà alla Formazione. La presidenza della Regione è andata a Forza Italia con Schifani, la presidenza dell’Assemblea regionale al meloniano Gaetano Galvagno: per questo motivo la vice presidenza spettava alla Lega e l’ha incassata Sammartino. Per il Movimento per l’Autonomia c’è, invece, il fedelissimo di Raffaele Lombardo, Roberto Di Mauro che avrà la delega all’Energia. Infine il gran ritorno di Totò Cuffaro che con la suoa nuova Democrazia cristiana piazza Nuccia Albano al Lavoro e Famiglia e Andrea Messina agli Enti Locali e Funzioni pubbliche. La Sicilia ha finalmente un governo, 50 giorni dopo le elezioni, con una maggioranza piena di mal di pancia e un record: un governatore imputato e un vice governatore imputato due volte. Non il migliore degli esordi.

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