La famiglia di Luca Attanasio e, secondo quanto appreso da Ilfattoquotidiano.it, anche la Farnesina hanno deciso di costituirsi parte civile nel processo che si sta svolgendo in Repubblica Democratico del Congo e nel quale sono imputati i sei presunti autori dell’agguato, con il presunto leader Aspirant ancora latitante, che ha portato all’uccisione dell’ambasciatore italiano, del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista del Programma Alimentare Mondiale (Pam) Mustapha Milambo. La decisione dei familiari del diplomatico e del ministero, rappresentato nel corso di ogni udienza dal nuovo ambasciatore Alberto Petrangeli, arriva nel giorno in cui i giudici militari di Kinshasa hanno deciso nuovamente di aggiornare il processo, iniziato lo scorso 11 ottobre, a mercoledì 23 novembre.

La sesta udienza è stata dedicata all’uomo accusato di aver premuto il grilletto contro l’ambasciatore e la sua scorta, Marco Prince Nshimimana, dopo che da settimane i cinque imputati presenti nell’aula-tenda della capitale congolese stanno negando gli addebiti sostenendo che le confessioni rese al momento dell’arresto sono state estorte con la violenza. Un punto, questo, che potrebbe complicare anche un eventuale processo da tenersi in Italia, dove i pm di Roma stanno ancora indagando sul secondo filone dell’inchiesta, quello appunto sugli esecutori materiali dell’omicidio. Questo perché, come svelato da Il Fatto Quotidiano, nel corso del primo interrogatorio delle autorità congolesi ai cinque arrestati non erano presenti i legali difensivi, particolare che rischia di rendere nulla quella che è stata l’unica assunzione di responsabilità da parte della presunta banda. Le accuse a loro carico sono, a vario titolo, di omicidio, associazione a delinquere e detenzione illegale di armi e munizioni da guerra. È proprio quest’ultima l’imputazione che giustifica il ricorso al tribunale militare.

Ieri la Procura di Roma ha invece chiesto il rinvio a giudizio per i due dipendenti del Pam, Rocco Leone e Mansour Rwagaza, con l’accusa di omicidio colposo per aver “attestato il falso” nel corso della compilazione dei documenti relativi alla missione del nord del Paese durante la quale furono uccisi Attanasio, Iacovacci e Milambo.

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