Una vera dinastia di politici e imprenditori. Un connubio che ha portato all’arresto dell’attuale sindaco di Montagnareale, Rosario Sidoti, mentre il padre, la madre, la figlia, la moglie, la sorella, perfino la cugina, il cognato e la suocera sono indagati. Tutti accusati, a vario titolo, di bancarotta fraudolenta, riciclaggio e tentata indebita percezione di finanziamenti pubblici. Il gip di Patti, Ugo Domenico Molina, ha anche disposto il sequestro di beni ed immobili per un valore complessivo di 3,5 milioni di euro.

In cima ai Nebrodi, nel piccolo comune in via di spopolamento (conta poco più di 1500 abitanti), i Sidoti governano dal 1994, da quando cioè era stato eletto papà Antonino. Dopo una breve pausa tra il ’98 e il 2003, a guidare il Comune sono stati poi la figlia Anna e, dal 2018, il figlio Rosario. Non a caso il gip parla di Montagnareale come di “una sorta di feudo della famiglia Sidoti”, politicamente vicina all’Udc, tanto che Rosario era stato nominato segretario provinciale nel 2019. Nel 2013 era stato invece presentato come il candidato di punta della lista Monti, dopo aver fallito (seppur di poco) l’elezione alle Regionali del 2012: ma nemmeno la corsa al Senato era andata bene, e allora la sorella gli ha ceduto il posto di primo cittadino. Un’eredità elettorale, scambiata dai Sidoti con agilità, che il fratello ha ricambiato nominando Anna consulente a titolo gratuito del comune. Ma Anna Sidoti nel frattempo è stata scelta anche dal governo Musumeci come esperta della Regione per i fondi del Pnrr (la delibera è del dicembre 2021), nonostante fosse già stata rinviata a giudizio in un processo sugli incentivi gonfiati a favore di dirigenti e dipendenti del Consorzio autostrade siciliane, e fosse a processo anche per abuso d’ufficio per avere affidato un incarico ad una cugina: da entrambe le accuse, in seguito, è stata assolta.

Le indagini della Guardia di finanza, coordinate dalla procura di Patti guidata da Angelo Cavallo, svelano oggi che accanto all’attività amministrativa i Sidoti gestivano “un fittissimo reticolato di società tutte riconducibili alla famiglia”, scrive il gip accogliendo la richiesta di misura cautelare dell’accusa. Le indagini, si legge, hanno svelato un sistema “a staffetta: la società appartiene al gruppo, inizia la sua corsa, accumula debiti, distrae guadagni, compie operazioni fraudolente e, sul finire della sua corsa, in prossimità del suo fallimento, “cede” il testimone (il suo patrimonio) ad un’altra società del gruppo appositamente creata. La nuova società, raccolto il testimone, alleggerita dai debiti rimasti in capo alla società fallenda, inizia il suo segmento di corsa con gli stessi obiettivi e con i medesimi metodi governativi, provando ad intercettare finanziamenti e appalti pubblici e a conseguire lauti quanto illeciti guadagni”. Così la Sidoti Costruzioni passava nel giro di quattro anni da un utile di 88mila euro a una perdita di 5.585.151 milioni. Nel frattempo la società era usata come “bancomat” dalla famiglia, per spese personali di ogni tipo, dal dentista alla spesa all’acquisto di scarpe, tutte non giustificate.

“Dopo avere costituito società, accumulato debiti, specie con l’erario, distratto ingenti capitali, drenato risorse da una società all’altra, posti in essere vorticosi giri di denaro e capitali, compiuto numerosissime operazioni distrattive e fraudolente, lasciato naufragare verso il fallimento le società cariche di debiti, dopo averle private di tutte le risorse in favore delle altre consorelle create al solo fine di raccogliere il patrimonio delle fallende società, l’itinerario criminale della famiglia Sidoti approda ad altra fase”, si legge nell’ordinanza: attraverso le società di “nuova generazione”, ripulite e arricchite del patrimonio delle consorelle destinate al fallimento, il gruppo criminale tenta di intercettare e ottenere, capziosamente, finanziamenti pubblici per l’importo complessivo di 775mila euro. Ci prova partecipando al bando per il completamento dell’immobile di Taormina dell’Irfis – Finsicilia, ente pubblico economico con capitale interamente detenuto dalla Regione Sicilia, che però rifiuta la richiesta di finanziamento perché la documentazione fornita non è sufficiente. Va meglio coi comuni di Montagnareale e della limitrofa Librizzi, dove il responsabile di un bando comunale per “programmi integrati per il recupero e la riqualificazione della città”, ha testimoniato di “avere subito forti pressioni da parte dell’amministrazione comunale, per la nomina di tale Francesco Crinò”. Tante e tali pressioni da indurlo a dimettersi. Alla riunione per il bando di Librizzi partecipava tra gli altri anche lo stesso Rosario Sidoti, la sua presenza però non veniva registrata nel verbale. Gli appalti di Montagnareale e di Librizzi, praticamente identici, venivano vinti dalla società dei Sidoti, l’unica a partecipare ai bandi, costati alla casse regionali 2,5 milioni di euro.

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