“Sono gli Usa e le forze della coalizione ad alimentare il terrorismo in Siria, lo hanno fatto brutalmente e continuano a farlo”. Recep Tayyip Erdoğan non va per il sottile e per l’ennesima volta lo scontro con gli alleati della Nato, Stati Uniti in testa, è servito. La dichiarazione tagliente è arrivata a margine del vertice fra Kiev, Onu, e Ankara che si è tenuto a Leopoli. Nonostante non lo dica esplicitamente, Erdogan fa ragionevolmente riferimento al sostegno in funzione anti-Isis da parte della coalizione occidentale – di cui la Turchia ha fatto parte nel quadrante siriano – alle milizie curde che Ankara mira a smantellare. Toni accesi, dunque, che però non sono nuovi al lessico diplomatico di Erdogan. “Questo tipo di dichiarazioni – anche se non così violente -, non sono nuove”, ricorda parlando con ilfattoquotidiano.it Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano dove dirige l’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri).

“Per trovarne di simili”, continua Parsi, “bisogna tornare ai tempi dell’amministrazione Trump, quando gli Stati Uniti mantenevano un velo di truppe al confine turco e siriano e appoggiavano le forze curde con l’Isis. Anche allora Erdogan che ebbe sempre un comportamento estremamente poco collaborativo nella lotta all’Isis, accusò gli occidentali di fare il gioco dei terroristi che sostenevano i curdi, quindi parlare in maniera così aperta in questo momento, sono tutti segnali da non sottovalutare”.

Le dichiarazioni al vetriolo sono state rilasciate a poche ore di distanza dalla notizia, riportata dall’agenzia di stampa russa Tass, di un nuovo ordine di missili antiaerei S-400 dalla Russia. La Tass aveva riportato una dichiarazione del capo del Servizio di cooperazione tecnica militare di Mosca, Dmitry Shugayev, secondo cui sarebbe stato firmato un accordo tra Ankara e Mosca per una nuova partita del sistema di difesa missilistico. Ankara si è subito affrettata a smentire le dichiarazioni del funzionario russo. “Non c’è nessun nuovo sviluppo, il processo va avanti a partire dall’accordo siglato il primo giorno”, ha fatto sapere la presidenza dell’Industria della Difesa di Turchia, riportato dall’agenzia di stampa turca Anadolu.

“Tutti questi- dice Parsi- sono segnali della disinvoltura del regime di Erdogan nel perseguire una sua agenda di politica nazionale”. Alla base della politica estera di Ankara c’è un forte tatticismo accompagnato da un’ambivalenza che rende la sua strategia difficilmente prevedibile. Fa parte dell’Alleanza Atlantica, ma acquista armi di fabbricazione russa; si oppone all’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, ma non sostiene le sanzioni comminate a Mosca dalla comunità internazionale: un atteggiamento ambivalente che non agevola i rapporti Ankara-Nato. Il sospetto è che Erdogan faccia il doppio gioco e l’atteggiamento del Sultano provoca non pochi malumori all’interno dell’Alleanza. “Qualche giorno fa è stata fatta trapelare la profonda irritazione della Casa Bianca, dell’Ue, della Nato sul fatto che la Turchia potesse costituire una via per triangolare i flussi di merci e denaro con la Russia, vanificando così gran parte delle sanzioni occidentali nei confronti della Russia”, dice al fattoquotidiano.it Parsi. “Sappiamo che c’è una forte manipolazione di Erdogan sulla richiesta di membership avanzata dalla Finlandia e dalla Svezia sempre legata alla questione dell’opposizione curda (Erdogan aveva posto come condizione per l’entrata dei due Paesi all’interno della Nato, la consegna ad Ankara degli esponenti del Pkk che avevano trovato asilo lì ndr)- prosegue Parsi- sono tutte cose che ci dicono che la lealtà del presidente turco all’Alleanza Atlantica è sub iudice, è ancora da definire”.

Dalla Nato, e soprattutto dalla Casa Bianca, per ora tutto tace. “D’altra parte nessuno evidentemente ha interesse ad alzare i toni dell’escalation, seppure verbale, ma questo rappresenta oggettivamente un problema. C’è da considerare che la Turchia ha anche un posizionamento nel Mediterraneo, in Libia, tutto suo, in funzione anti russa ma contemporaneamente anti occidentale; si sta muovendo moltissimo nell’Africa subsahariana, nella zona di Gibuti; sta agitandosi nel Levante dove è fortemente allineata con la Russia e anche allineata con l’Iran, quindi i dossier aperti con i turchi sono molti”. Ciò che è in crisi, dunque, non è l’Alleanza in quanto organizzazione che, al contrario- con lo scoppio della guerra in Ucraina- si è rafforzata sempre di più e ha messo a tacere le voci che parlavano della sua inutilità anacronistica, ma la presenza al suo interno di un partner scomodo, pronto a perseguire i propri scopi a discapito di quelli dell’organizzazione di cui è membro.

“Io credo che Erdogan stia giocando con il fuoco, sopravvaluta la capacità del suo regime di agire autonomamente.- dice il professore Parsi al fatto.it – E’ chiaro che in un momento come questo in cui si stanno delineando due schieramenti, quello delle democrazie e quello delle autocrazie, tutte le scelte fanno intendere che la Turchia di Erdogan stia andando verso la seconda prospettiva e non alla prima”. Ankara si destreggia con maestria fra le più importanti crisi internazionali e regionali. Dalla Libia, alla Siria passando per l’Africa Subsahariana, fino ad arrivare in Ucraina. Il Sultano persegue la sua agenda politica con enorme lucidità e strategia, anche quando alza i toni del dibattito politico. “La Nato non deve raccogliere le provocazioni verbali- perchè al momento questa è una provocazione verbale- e deve andare avanti per la sua linea che è quella di procedere il più rapidamente possibilmente verso la membership di Finlandia e Svezia che è nell’interesse del contributo alla sicurezza non solo della Nato ma dell’Unione tutta, e deve cercare di non farsi attirare in quello che è il calderone mediorientale in cui l’Alleanza, in quanto organizzazione, non ha interessi strategici”.

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