Non scenderanno in campo, ma sono pronti a fare il tifo attivamente. I sindaci del Pd hanno consegnato il loro “no” unanime alla candidatura nelle liste dem alle elezioni del 25 settembre. Per il partito sarebbero stati nomi buoni da spendere, un carico di voti importantissimo, soprattutto nei collegi uninominali. Almeno questo era il piano immaginato dal segretario Enrico Letta, che ha incontrato una delegazione di primi cittadini per comprendere i margini di manovra. E ponderare la mossa, che avrebbe voluto dire dimissioni di massa nei grandi comuni, anche non in scadenza tra un anno grazie a una deroga che, da regolamento, può essere chiesta dal leader alla Direzione nazionale. Invece Antonio Decaro, Matteo Biffoni, Luca Vecchi, Matteo Ricci e gli altri resteranno a lavorare nei loro comuni.

A spiegarlo è stato lo stesso sindaco di Pesaro che è anche coordinatore dei primi cittadini dem: “Nessun sindaco di grandi città si candiderà, perché significherebbe dimettersi entro domani – ha detto Ricci – e consegnare la città al commissario prefettizio, e nessun sindaco che ama la propria comunità lo farebbe”. Ma ha sottolineato che saranno “in prima linea a dare il loro contributo a una campagna che in molti territori si risolverà per pochi voti”. Non solo: “Ci sono tanti sindaci di città sotto i 20mila abitanti ed anche ex sindaci pronti a candidarsi”. Il valore aggiunto, ha aggiunto Ricci, è chiaro: “I sindaci del Pd sono il 70% dei primi cittadini del nostro Paese, sono la sinistra di prossimità che possono dare un contributo di idee e di proposte importante”.

La prossima settimana “consegneremo a Letta un contributo programmatico in cinque punti e un elenco di sindaci di città sotto i 20mila abitanti ed ex sindaci che hanno concluso il mandato quest’anno, disponibili a candidarsi”. “Come sindaci dunque – ha aggiunto Ricci – avremo un attacco a due punte; quelli che si candideranno e a loro ridosso i sindaci delle grandi città in prima linea”. Con una precisazione a proposito delle candidature: che ai primi cittadini che si candidano siano offerte non solo quelle degli uninominali ma anche quelli nei listini proporzionali. Il “paracadute”, insomma. E ha quindi ripreso le parole del segretario sugli “occhi della tigre” necessari per provare a sovvertire le indicazioni dei primi sondaggi: “Siamo già oltre gli ‘occhi di tigre’ di Rocky 3, siamo pronti a Rocky 4 e a ‘ti spiezzo in due'”.

Prima delle parole di Ricci che fanno tramontare definitivamente l’idea, erano già arrivate diverse defezioni singole. Ad iniziare da quella di Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, rieletto alla guida del capoluogo pugliese con il 65% dei voti: “Bari è la mia città. La città dove sono nato. La città che ho promesso di amministrare. La città che otto anni fa mi ha messo una fascia tricolore sulle spalle. E non posso tradirla. Perché con questa città ho un patto da onorare”, ha scritto su Facebook. “‘Dovresti andare a dare una mano a Roma’ – ha aggiunto il primo cittadino – In questi giorni in tanti me lo hanno detto”. E ha concluso: “Cittadini, amici, il partito. Lo ammetto, ci ho pensato. Perché credo che chi fa politica debba impegnarsi in prima persona. Sempre. Qui a Bari, come in nessun altro posto nel mondo, io sono felice”.

Motivazioni simili per Luca Vecchi, che amministra Reggio Emilia: “È la mia città e io continuo a fare il sindaco. Lo avevo già dichiarato a più riprese nei giorni e nelle settimane scorse, ma visto le numerose sollecitazioni credo sia opportuno ribadirlo. Non credo sia giusto dimettersi dalla carica di sindaco per rendersi disponibile alla candidatura al Parlamento”, ha scritto sui social. “Non è solo una scelta politica la mia, è una scelta etica. Io sono fatto così. Grazie a tutti. Grazie davvero per le tante richieste di candidatura”. Per Vecchi “dimettersi, lasciare la città senza sindaco in pochi giorni, non credo sia responsabile verso la giunta, verso l’intero Consiglio comunale (comprese le minoranze) verso l’amministrazione, ma soprattutto verso la mia città. La decadenza di tutti gli organi determinerebbe con ogni probabilità il commissariamento del Comune per molti mesi”.

Martedì si era già sfilato un altro esponente dem, Matteo Biffoni, sindaco di Prato: “Amo la mia città e voglio rimanere a fare il sindaco. Sono sempre stato a disposizione della mia comunità e ringrazio i tanti che anche in questi giorni mi hanno chiamato, scritto, incontrato, dimostrandomi ancora una volta fiducia e stima. Non ho nessuna intenzione di candidarmi in Parlamento”. Il primo cittadino e presidente di Anci Toscana aveva quindi aggiunto: “Non me la sento di lasciare la città ora perché ho un impegno con la mia comunità e molto ancora da fare e perché questo è il mestiere più appassionante che io possa svolgere”.

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