Anche la giornata della vigilia delle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi e del voto di fiducia sul suo intervento in Parlamento è stata serpentina di tornanti affrontati tra accelerazioni e frenate a secco. Per esempio da lontano sembrava l’inizio della fine quell’incontro di Draghi con il segretario del Pd Enrico Letta, poco dopo che il capo del governo aveva incontrato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il centrodestra di governo sulle prime si è detto “sconcertato”, poi ha espresso “incredulità”, alla fine è bastata una telefonata tra Draghi e Silvio Berlusconi (i quali sono legati come noto da una conoscenza datata) per organizzare un confronto riparatore, sempre a Palazzo Chigi: così Matteo Salvini, Antonio Tajani e perfino Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi (le crisi lasciano spesso spazio a sorprendenti rivitalizzazioni, e spesso ne dipendono) hanno lasciato Villa Grande – la residenza romana del Cavaliere – e sono andati a parlare per un’oretta con il premier. All’uscita, bocche cucite. Ha parlato invece Letta, anche se il linguaggio sul tema – durante un’intervista alla Festa dell’Unità di Roma – è stato più che foderato. Ma si è lasciato scappare questa frase, alla quale rischia – in caso di sorte avversa – di rimanergli addosso per un po’ di tempo: “Domani (mercoledì, ndr) sarà una bella giornata, ne sono sicuro”. Matteo Renzi è ancora più sicuro: “L’unico problema rimasto è se Conte esce dalla maggioranza domani, tanto ormai tutti sappiamo che Draghi rimarrà, meno male”.

La giornata di Draghi è stata scandita Prima il colloquio con Letta, poi la riunione con i 4 leader del centrodestra di governo, dunque. In apparenza delle mini-consultazioni non dichiarate con la nuova maggioranza senza 5 Stelle, azzarda qualcuno, visto che il faccia a faccia di cui si è vociferato tra Draghi e Giuseppe Conte alla fine non c’è stato. Ma la cosa certa, alla vigilia della discussione nell’Aula di Palazzo Madama, è che l’esito di questa crisi-non crisi, nella quale il governo ha ancora un’ampia fiducia e che per converso dipende dai partiti ma anche dalle valutazioni del presidente del Consiglio, ha un tasso di incertezza quasi inedito, almeno nella storia parlamentare più recente. Perché non dipende solo da qualche pattuglia di parlamentari che possono decidere di votare sì o no all’ultimo momento (vedi fine del Conte 2, con la caccia aperta ai Ciampolillo). Ma dipende anche dalle parole che userà Draghi, da quelle che useranno gli esponenti dei partiti in particolare al Senato (e qui siedono due leader, Salvini e Renzi), da come le parti in causa interpreteranno le parole degli altri, il che forse è la cosa più importante. I punti sospesi sono tanti e ormai si conoscono quasi a memoria. Il primo: Draghi ha detto più volte nelle ultime settimane che “non esiste governo senza il M5s”, ma se ha un’ampia maggioranza a prescindere da quel che resterà dei 5 Stelle (a forte rischio di una nuova scissione) prenderà in considerazione l’idea di proseguire il lavoro a Palazzo Chigi?; il secondo: se il centrodestra non vuole più governare con il M5s, il Pd accetterà di stare al governo con il rischio che sia sempre in minoranza?; il terzo: il centrodestra di governo è pronto a rinunciare al match-ball di andare a elezioni anticipate contro uno schieramento avversario a pezzi?; il quarto: come interpretare il silenzio perfetto dei vertici del M5s in questa vigilia del voto?

Come segnala l’agenzia Ansa una delle novità del giorno è che il presidente del Consiglio farà il suo intervento e attenderà le risposte dagli interventi dei partiti per poi decidere cosa fare. L’operazione – forse disperata – di sminamento del terreno è resa più chiara dal fatto che al Senato il dibattito sarà lunghissimo e durerà tutta la giornata di mercoledì: si comincerà alle 9,30 con l’intervento di Draghi e la discussione andrà avanti fino alle 18,40 quando è in programma la prima chiama per la fiducia che sarà posta sulle dichiarazioni del capo del governo. Ma il punto è che nulla trapela delle sue intenzioni di Draghi, cioè se quando prenderà la parola, confermerà, congelerà o revocherà le sue dimissioni. Resta nella maggioranza il timore di una lunghissima resa dei conti nell’emiciclo di Palazzo Madama. Dopo la discussione generale senza contingentamenti, Draghi potrà replicare e subito dopo ci saranno le dichiarazioni di voto.

Anche perché le 24 ore senza dichiarazioni di Giuseppe Conte e di chi nel M5s gli è più vicino non lascia ancora maturare la questione, né in un senso né in un altro. Per molte ore si erano rincorse le voci sul fatto che i “governisti” del Movimento fossero pronti a “autodenunciarsi” e dichiarare il loro sì alla fiducia, capitanati dal capogruppo Davide Crippa che oggi una volta di più ha ribadito: “Ascolteremo il discorso di Draghi in aula domani. Trovo chiaro che se aprirà ai principali temi posti all’interno dei 9 punti da parte del M5s, diventa ingiustificabile non confermare la fiducia”. Gira l’ipotesi che il faccia a faccia o almeno una telefonata tra Draghi e Conte possa avvenire dopo il primo intervento del premier. Di nuovo, tutto dipenderà da cosa dirà Draghi, quali le parole e quali i toni e probabilmente il suo discorso potrebbe essere ritoccato fino a qualche istante prima del colpo di campanella della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Mai come questa volta il destino del governo sarà deciso in diretta, passaggio dopo passaggio, minuto per minuto, fino all’ultima curva.

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