“Installiamo tre radar. Il primo è un doppler, in grado di intercettare spostamenti rapidissimi e impulsivi, tipo quelli delle valanghe, e dare l’allarme”. Così il professor Nicola Casagli, docente di geologia applicata dell’Università di Firenze, spiega al Corriere della Sera quali saranno le prossime mosse necessarie per capire il comportamento del ghiacciaio della Marmolada. Casagli, che ha già dato il proprio contributo insieme alla Protezione civile per la valanga di Rigopiano e sulla Costa Concordia, non ha dubbi: “Cadrà anche ciò che resta del ghiacciaio”. Ancora non è chiaro se avverrà tutto in una volta o in più momenti.

Gli altri due radar sono interferometri: “Immagazzinano immagini con oltre un milione di punti, che possono essere confrontate con quelle successive”. In questo modo, prosegue, “si riescono a leggere movimenti anche minimi, inferiori al millimetro appunto, che possono essere segnali di instabilità prima della nuova frana”. Sono stati installati a un’altezza di 2700 metri. Si stima che, in caso di crollo, il tempo necessario per salvarsi non supererebbe i venti secondi per buona parte della caduta. Andrebbe invece meglio a centinaia di metri dalla vetta: l’intervallo potrebbe estendersi tra i 50 secondi e il minuto. È proprio qui, conclude il Corriere, che inizierebbero le ricerche sul terreno.

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