TREVISO – È finito nei guai il produttore d’armi che faceva il moralista al contrario. Si lamentava che le banche non prestassero soldi alle aziende belliche, per una questione etica, ma adesso è stato denunciato per una sfilza di reati e la sua azienda a Montebelluna è stata chiusa. I finanzieri hanno effettuato una perquisizione nella sede della Mateba Italia srl, sequestrando circa 200 tra pistole, fucili, mitragliette e munizioni. Pare che la destinazione fosse nell’Est Europa (Ungheria e Polonia) e nei Paesi Arabi. Domenico Mario Libro, un milanese di 57 anni, è indagato per gestione e messa in commercio di armi clandestine, mancata custodia di armi, trasporto abusivo di armi e parti di esse senza l’obbligatorio preavviso all’autorità di pubblica sicurezza. C’è anche l’ipotesi di irregolarità nella tenuta dei registri di pubblica sicurezza, ovvero le mancate annotazioni di carico e scarico. Il sospetto è che una parte della produzione sia scomparsa, destinata al mercato parallelo che cerca armi da usare per scopi illeciti.

Durante la pandemia, nel 2021, su un post, Libro aveva attaccato lo Stato. “Ho chiamato in banca per sapere se fosse possibile accedere all’aiuto di Stato per le aziende a causa del fermo per il virus e mi hanno risposto che per ragioni etiche i produttori di armi non hanno diritto a nessun prestito”. Polemicamente chiedeva: “Siamo cittadini di serie B? E i nostri clienti, dotati di porto d’arma regolare, cosa sono? L’articolo 1 della Costituzione Italiana dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, tranne quello dei produttori di armi (sportive)”. La Questura di Treviso ha sospeso le licenze all’imprenditore, che esercitava la sua attività a Montebelluna da tre anni, occupando una decina di dipendenti. Sequestri sono avvenuti anche nelle province di Milano e Monza, dove pare che la Mateba stesse per trasferire la sua attività e dove sono state trovate parti essenziali di armi. Si tratta di canne, carrelli, otturatori e tamburi, pronti all’assemblaggio per essere immessi sul mercato.

L’inchiesta ha preso avvio la scorsa estate da una verifica effettuata dalla divisione di polizia amministrativa e sociale della Questura. Nel mirino è finito un periodo compreso tra il novembre 2020 e l’estate 2021. Dall’indagine, che è coordinata dalla Procura di Treviso, è emerso che un certo numero di armi e di componenti sarebbero state vendute senza lasciare traccia. Si è trattato di una compravendita in nero? Oppure sono finte a persone che non possono acquistare armi sul mercato legale per ragioni di fedina penale? O ancora, ne hanno beneficiato organizzazioni internazionali clandestine? Domenico Maria Libro, prima di occuparsi di armi, si era dedicato al trasporto ferroviario. Si era laureato in Economia all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano. Una decina di anni fa era finito sotto inchiesta per le attività della società Ferronova, specializzata nel trasporto di gas, nonché della Del Fungo Giera Navi e della Del Fungo Energia, di cui era amministratore. Tutto nasceva dal sospetto di bancarotte pilotate, con lo scopo di creare disponibilità finanziarie all’estero. Nel 2017 ha ottenuto la licenza di fabbricazioni di armi comuni dalla questura di Treviso, con rinnovo nel 2020 (fino al 2023), come scrive sul proprio sito. Nel 2019 ha avuto il via libera della Prefettura per fabbricare armi da guerra.

Sul tema della vendita in nero di armi, il sociologo Giorgio Beretta, di Opal, l’Osservatorio Permanente per le Armi Leggere di Brescia, commenta: “Le grandi aziende sono molto attente su questo punto, perché sanno che rischiano di chiudere l’attività. Si può dire, quindi, che il settore è molto controllato”. Le accuse di non erogare finanziamenti da parte dello Stato a chi produce armi riguardano, in realtà, una facoltà che hanno le banche nei rapporti con i privati. “Ritengo inammissibile che un imprenditore faccia quel tipo di esternazioni pubbliche (‘Per ragioni etiche i produttori di armi non hanno diritto a nessun prestito’) che non solo sono false, ma che sono lesive della reputazione delle banche (che il post su FB della Mateba menziona esplicitamente) che hanno deciso di dotarsi di direttive di responsabilità sociale nei settori delle fonti fossili, delle armi, del rispetto dell’ambiente e dei diritti umani”. Insomma, sono le banche ad aver operato una scelta, dotandosi di un codice etico nei rapporti con privati, in settori sensibili come la sicurezza e l’ambiente.

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