Quando lo scorso 12 aprile un gruppo ristretto di scienziati ucraini è riuscito a entrare nei laboratori di Chernobyl, ha notato che dei dati raccolti prima dell’occupazione russa era rimasto poco. All’interno dell’ex centrale nucleare si stavano studiando dei batteri capaci di “mangiare” le scorie radioattive del disastro nucleare del 1986. Ora però i ricercatori temono che il loro lavoro sia andato in gran parte perduto.

La ricercatrice Olena Pareniuk stava analizzando la diversità microbica delle pozze d’acqua – ormai prosciugate da tempo – nella struttura di contenimento intorno al reattore 4, distrutto nell’esplosione del 1986. Come molti dei suoi colleghi è stata trasferita a Černivci all’inizio dell’occupazione russa della centrale. Poi ha trascorso gli ultimi giorni nella città di Žytomyr – circa 130 chilometri a ovest della capitale Kiev. Da allora non ha avuto notizie delle ricerche e dei suoi strumenti. “Spero che i campioni siano ancora in frigo, perché sarà impossibile raccoglierli di nuovo – ha raccontato alla rivista scientifica britannica New Scientist pochi giorni fa – L’obiettivo era coltivare microrganismi capaci di degradare le costruzioni di lava, cemento e acciaio presenti nell’arco protettivo e nel deposito di stoccaggio del combustibile esausto”. Parte dei risultati di alcuni di questi esperimenti potrebbe essere recuperata, ma le operazioni sicuramente richiederanno “molto tempo e denaro”. Secondo Maxim Saveliev – collega di Pareniuk all’ Ispnpp intervistato sempre da New Scientist – la situazione invece sarà più critica: “Dovremo ripartire quasi da zero. Non abbiamo più i dati perché ci hanno rubato gli hard disk”. Di questo ha parlato anche Anatolij Nosovskyj, direttore dell’Ispnpp (Istituto ucraino per i problemi di sicurezza delle centrali nucleari) in una lettera indirizzata alla comunità scientifica internazionale. “Quasi tutti i computer sono stati portati in un’altra struttura, in cui i russi hanno estratto le schede di memoria” ha scritto. Probabilmente avevano l’ordine di raccogliere i dati raccolti nell’ex centrale. Gli scienziati però non potranno sapere cosa effettivamente sia andato perduto, prima di un’ispezione accurata dei laboratori.

L’esercito di Mosca ha lasciato Chernobyl, all’inizio di aprile. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) aveva già dato l’allerta, durante la sua permanenza, gli alti livelli di radioattività registrati in alcuni locali e nelle aree delle attività militari. Ora a preoccupare sono però le condizioni dei laboratori scientifici, al momento inutilizzabili. “Nella centrale ci sono ancora soldati russi, quindi scienziati e altri civili non possono entrare” ha spiegato ancora Pareniuk. Le foreste poi “sono minate” e non è ancora possibile valutare gli effetti dei combattimenti attorno a Chernobyl sulle radiazioni. “Ci vorrà un po’ prima di poter tornare nei laboratori. Al momento tutti i permessi d’ingresso sono sospesi fino a nuovo ordine”. I soldi per ricostruire e sostituire le attrezzature non arriveranno finché il paese è in guerra, ha spiegato ancora lo scienziato ucraino. Anche dopo la fine del conflitto, però, sarà difficile ottenerli. Gli studi nella centrale però potrebbero avere un impatto decisivo per capire come smaltire i materiali dell’ex sito nucleare. Per questo Anatolij Nosovskyj ha chiesto aiuto alle organizzazioni scientifiche di tutto il mondo. Prossimamente sarà lanciata anche una raccolta fondi per sostenere le spese dei laboratori. Queste però non saranno le uniche difficoltà nella ripresa. Gli impiegati nella sicurezza dell’ex centrale ne stanno già sperimentando alcune. A partire dagli spostamenti. La maggior parte degli impiegati abita infatti nella cittadina di Slavutyč e, per arrivare sul luogo di lavoro, deve attraversare in treno la Bielorussia, stretta alleata di Mosca. Sul percorso alternativo invece “un viaggio di sola andata può durare più del turno” ha affermato Pareniuk. Attraversa invece le macerie, lasciate dai bombardamenti di Černihiv, Kiev, Buča e Irpin.

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