L’Italia ha uno dei tassi di suicidi nelle carceri più alti nel continente europeo, un problema urgente di sovraffollamento e la maggior percentuale di carcerati sopra i 50 anni (“record assoluto”, gli over 50 sono infatti il 26,7% dell’intera popolazione carceraria). È quanto emerge dal rapporto 2020 “Space” del Consiglio d’Europa, che fotografa, di anno in anno, le condizioni delle carceri che si trovano sul continente. L’Istituto di criminologia di diritto penale dell’università di Losanna ogni anno, su incarico del Consiglio d’Europa, fa una valutazione comparativa sulla composizione della popolazione carceraria in Italia e in tutti i paesi europei.

Sovraffollamento – Nessuno degli stati europei, fatta eccezione per il Belgio, ha un problema di sovraffollamento carcerario come quello dell’Italia: “Il tasso ufficiale del sovraffollamento delle carceri è del 107,4%, ma in ben sedici istituti supera il 150%. In questo quadro, desta preoccupazione soprattutto la questione delle madri detenute: a oggi risultano in carcere 19 donne con 21 figli, tutti inferiori ai 3 anni di età e c’è chi denuncia di aver partorito in cella, senza supporto medico, con il solo aiuto di altre detenute”: è quanto ha dichiarato il portavoce dell’associazione Meritocrazia Italia a commento della diffusione del report.

Tassi di suicidi – L’Italia si inserisce tra i primi dieci Paesi UE con il più alto tasso di suicidi nel corso del 2020, 11,1 ogni 10mila detenuti: in tutto, 61 suicidi – più di un suicidio a settimana. Di questi, quasi la metà (32) si sono uccisi ancora in attesa di una sentenza definitiva. Il primato europeo lo detiene la Francia, con un tasso di suicidi pari a 27,9 ogni 10mila detenuti. A seguire la Lettonia (19,7), il Portogallo (18,4), il Lussemburgo (18), il Belgio (15,4), l’amministrazione penitenziaria catalana (14), la Lituania (13,2), Estonia (12,8) e Olanda (12,7).

Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone – che si batte per i diritti nelle carceri – ha commentato i dati sui suicidi ricordando che “ogni suicidio è anche una sconfitta istituzionale”. Secondo il presidente di Antigone, “i numeri della popolazione detenuta sono tali che il personale non sempre riesce a intercettare quel bisogno di aiuto”. ”Qualora dovessimo indicare una azione immediata per la prevenzione dei suicidi, suggeriremmo una estensione della possibilità di telefonare ai propri cari. Qualora a un detenuto vengano in mente pensieri suicidari forse potrebbe scacciarli con una telefonata a una persona cara”.

Carcere, una misura per i poveri – La maggioranza delle persone che si trovano in carcere sono povere: non hanno studiato – o hanno studiato poco e si sono fermate alle licenze elementari e medie – e le minoranze etniche sono sovrarappresentate. È quanto sostiene il magistrato Elisa Pazé, nel suo libro Giustizia, roba da ricchi: “Periodicamente qualche arresto eccellente, un politico o un imprenditore, alimenta l’illusione che la legge sia uguale per tutti, che non distingua fra ricchi e poveri, potenti ed emarginati. Purtroppo non è così. Le carceri straboccano di ladruncoli, piccoli spacciatori, immigrati irregolari, oltre che – s’intende – di qualche omicida, stupratore, mafioso o camorrista. Bancarottieri, evasori fiscali, corrotti e corruttori con le patrie galere hanno poco a che fare. Ciò che per gli emarginati è la regola, per i benestanti è l’eccezione”. Stando ai dati del Ministero della Giustizia 2021, i laureati dietro le sbarre sono 417, mentre sono 18.266 i detenuti con licenza elementare o media.

Come dichiarato anche dal magistrato Alfonso Sabella in una intervista a FQ Millennium nonostante i colletti bianchi commettano crimini che destano meno allarme, si tratta spesso di reati più costosi per la collettività: corruzione, evasione fiscale, crimini finanziari o ambientali (per le grandi aziende). Ma le percentuali di “criminali ricchi” in carcere sono bassissime: 1 detenuto su 100 è dentro per reati economici. L’1% del totale, che nel 2020 equivaleva a 418 persone: in Germania i “colletti bianchi” in carcere sono invece l’11,5%, circa 5.829 persone.

Per il magistrato Pazé, l’errore a monte è sia giuridico che filosofico: il nostro codice penale è ancora basato sull’impostazione di iper difesa del patrimonio del Codice Rocco del 1930. “A godere di tutela rafforzata sono i patrimoni individuali e ad essere conseguentemente perseguiti con particolare rigore sono i reati di strada, abitualmente commessi da chi vive ai margini e non ha nulla da perdere: furti, scippi e rapine. Debole e non adeguato è invece il presidio di quei beni – aria, acqua, suolo – che sono patrimonio comune, come se ciò che è di tutti non fosse in realtà di nessuno”.

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