“Capisco la rabbia che molti proveranno perché io stesso non ho osservato le leggi, introdotte dal Governo di cui sono a capo, per proteggere il pubblico. Il popolo ha diritto di aspettarsi di meglio…“. A questo punto sarebbe plausibile aspettarsi che un primo ministro concludesse il discorso annunciando le proprie dimissioni. Non quando il premier in questione è Boris Johnson, il re della retorica che da sempre sogna di vivere al 10 di Downing Street. Da lui invece arrivano nuove scuse ufficiali, proferite con tono penitente, a poche ore dal colpo di scena che tutti si aspettavano ovvero le sanzioni comminate dalla polizia britannica a Johnson e sua moglie Carrie, al ministro delle Finanze Rishi Sunak, e a oltre 50 conservatori rei di aver partecipato ai ritrovi alcolici a Downing Street, nel pieno del lockdown. “Ho pagato la multa” ha subito tenuto a sottolineare Johnson in televisione, prima di aggiungere però che di fatto celebrare il suo compleanno, il 19 giugno del 2020, insieme ad un gruppo di colleghi per dieci minuti non gli era sembrata una violazione delle regole anti Covid.

E per zittire la richiesta di dimissioni urlata dalle opposizioni, Boris Johnson si è aggrappato con le unghie alla poltrona professando di sentire l‘obbligo sempre più forte di onorare gli impegni presi per il paese, e tirando fuori anche il suo impegno a far fallire Putin in Ucraina. Dallo scoppio della guerra, Johnson ha lavorato a ripulirsi dallo scandalo party gate, ricostruendo l’immagine di paladino degli aiuti economici e militari alla nazione devastata dalla Russia. Ma basteranno i missili anti carro forniti al suo ‘amico’ Volodymyr Zelensky a proteggere lui e i Tory da una possibile debacle elettorale alle prossime elezioni amministrative del 5 maggio?

Il risultato alle urne potrebbe costargli molto più della multa. Il 75% dei britannici pensano che il loro primo ministro abbia ‘mentito sapendo di mentire’ quando ha detto al Parlamento che a Downing Street “nessuna regola anti Covid era stata infranta”, e potrebbero ora passare alla vendetta elettorale. Dai sondaggi, il supporto dei membri del suo partito ancora regge, con solo il 25% dei Tory che vorrebbe le dimissioni di Johnson. Ma per i conservatori che ancora ponderano sull’opportunità o meno di sollevare una mozione di sfiducia contro il primo ministro in un momento di profonda instabilità economica dovuta alla guerra in Ucraina, un crollo di voti alle amministrative potrebbe essere la spinta a voler cambiare il vertice del partito prima delle elezioni politiche del 2024.

Non aiuta la causa dei conservatori, il fatto che l’attuale l’inquilino dell’11 di Downing Street, Rishi Sunak, Cancelliere dello Scacchiere e favorito nella rosa di nomi dei possibili rimpiazzi per il primo ministro, questa settimana abbia subito lui stessi colpi micidiali: prima della multa anche la rivelazione trapelata sui media che la moglie miliardaria, Ashkata Murthy (rampolla del fondatore del colosso IT, Infosys) ha risparmiato milioni di tasse perché non domiciliata in Regno Unito.

Lo scandalo tasse potrebbe aver tolto di mezzo un rivale ma i guai di Boris Johnson non sono certo finiti: a breve dovrebbe infatti arrivare anche il risultato dell’inchiesta interna sui party gate condotta da Sue Gray. Altre multe potrebbero davvero essere la goccia che fa traboccare la pazienza dei conservatori e quella di un popolo ormai provato dalla faccia tosta del proprio primo ministro.

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