Tre gol in venticinque minuti con la squadra sotto due a zero: partita vinta praticamente da solo. Tre gol non inventati, ma “pescati”: proprio come in una domenica al lago, buttando la lenza e restando lì tranquillo. Già, perché con quell’aria serafica pare proprio un pescatore d’acqua dolce Kennet Andersson da Eskilstuna: città svedese su un fiume e vicinissima a due laghi, appunto. Chissà quante volte avrà tirato la lenza da bambino Kennet, imparando la calma e adottando come stile quello di starsene lì tranquillo, ad aspettare il salmone di turno come i gol qualche anno dopo. Furono tre in Sampdoria-Bologna di 24 anni fa, con i blucerchiati in vantaggio grazie a Vincenzo Montella e alla Brujita Veron. Poi arriva Kennet: due reti di testa, una di destro e regala la preziosa vittoria esterna agli uomini di Renzo Ulivieri.

Gol festeggiati al massimo con un pugno alzato: Andersson è così, in A come ai Mondiali. Si innamora del calcio guardando i mondiali del ’74 in tv, in particolare quel centravanti della sua Svezia che di testa è micidiale: Ralf Edstrom. Comincia a giocare prima in una formazione giovanile e poi nella squadra della sua città, l’Eskilstuna: non che si noti granché, infatti arriva tardi nel calcio che conta, al Goteborg, quando ormai ha 24 anni. Con calma, il mantra di Andersson, arriva anche a diventare capocannoniere del campionato svedese. Alto un metro e 93, fortissimo fisicamente, è praticamente impossibile togliergliela dalla testa o dal petto quando va a prendersi i palloni aerei e ha pure un buon destro forte e preciso. Insomma: il prototipo del centravanti, ma con la passione per tutt’altro tipo di calciatore, il suo mito infatti è il brasiliano Socrates.

I club europei iniziano a interessarsi, ma non l’élite: nel 1991 firma con i belgi del Malines, non gli va granché bene con 8 gol in una stagione e mezza. Torna in patria, al Norrkoping, e torna a giocar bene e a segnare tanto. Allora arriva una nuova offerta dall’estero: lo prende il Lille. Con 11 gol in Ligue 1 si riscatta dai due anni negativi in Belgio, ma la consacrazione, quando ormai ha già 27 anni, arriva nell’estate successiva. La Svezia ad Usa 94 parte con un attacco pieno di talento: la stella è Thomas Brolin, fresco di 12 gol in stagione a Parma e nomina a calciatore svedese dell’anno. Accanto a lui Martin Dhalin, pure per lui 12 gol in campionato col Borussia Mönchengladbach.

Kennet parte dalla panchina, ma gli sta bene: non è il tipo che fa polemica, tutt’altro. Dopo il pareggio negli ultimi minuti col Camerun all’esordio, il ct Tommy Svensson decide di spostare Brolin sulla destra (con più di qualche polemica da parte del calciatore) e Andersson al centro dell’attacco con Dhalin. La scelta porterà la Svezia fino al terzo posto, con Kennet che farà ben 5 gol. Un pallonetto splendido al Brasile, una doppietta di destro e sinistro all’Arabia Saudita, il gol che riagguanta la Romania ai quarti di finale mostrano che quel lungagnone è un centravanti completo: se ne convince in particolare il Bari di Matarrese che lo compra per metterlo accanto a Protti.

In una stagione incredibile l’italiano sarà capocannoniere con 24 gol e Andersson, giocando benissimo, ne farà 12. Fino a qualche tempo fa Protti dichiarava che lo svedese fosse il miglior compagno di reparto avuto, eppure una coppia d’attacco da 36 gol non riuscirà a evitare la retrocessione al Bari. Impensabile vedere Kennet in B: lo vorrebbe addirittura il Milan per farne un vice Weah, ma se lo assicura, per 6,5 miliardi di lire, il Bologna di Gazzoni. Kennet si innamora della città, ricambiato: sotto le torri trova la sua dimensione, diventando a tutti gli effetti la terza torre. Segna e manda in gol i compagni con la solita calma serafica. Calma che gli vale pure un’espulsione, totalmente inventata, quando Nicchi gli rimprovera l’aver chiesto al suo allenatore, Ulivieri, di venir sostituito.

Una dannazione per i difensori (Fabio Cannavaro l’ha considerato l’attaccante più difficile da marcare mai incontrato in carriera), una manna per i compagni e ancor più per gli allenatori visto che oltre a sponde e gol calcia anche, e spesso bene, le punizioni. Col Bologna arriva a fare anche 24 gol in una stagione: quella della vittoria della coppa Intertoto nel ’98. E non ha esitazioni a rifiutare la Juve che lo cerca: “Non so se a Torino vivrei bene come a Bologna”. Accetta però di andare alla Lazio, quando Eriksson gli chiede di seguirlo: ma giocherà solo 2 partite da agosto a novembre nella stagione in cui i biancocelesti vinceranno lo scudetto. Poi tornerà a Bologna, per la sua ultima stagione in Italia. Ormai 33 enne andrà in Turchia, al Fenerbache, vincendo il campionato, per poi giocare un’ultima stagione nei dilettanti svedesi. È stato direttore sportivo al Goteborg, senza contribuire a interrompere il digiuno di vittorie della società svedese che dura dal 2007. Ma magari torna e vince, d’altronde per Kennet le cose si fanno così: con calma.

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