Le oltre cento condanne a morte eseguite nelle ultime settimane in Arabia Saudita – le ultime tre proprio mentre a Riad il premier inglese Boris Johnson lodava i progressi sul rispetto dei diritti umani – mandano ai Paesi occidentali un messaggio chiaro: se vogliono petrolio a buon mercato, devono tollerare gli eccessi di Mohammed bin Salman. Con il mondo intero occupato dalla crisi ucraina e dall’aumento dei prezzi dell’energia, il principe ereditario ha ritenuto che fosse il momento giusto per le esecuzioni su larga scala. Sa che il futuro politico di molti leader – in particolare Johnson e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden – dipende anche dalla sicurezza di petrolio e gas a basso costo. Perciò ha colto l’occasione per mostrare i muscoli e chiedere che l’Occidente lo tratti con rispetto, dopo tre anni in cui è stato considerato un paria. Esecuzioni, detenzioni, trattamento illegale dei prigionieri e altre violazioni dei diritti umani per Mbs sono tutte questioni di sovranità nazionale sulle quali l’Occidente non ha diritto di intervenire: il principe ereditario vuole anche che Usa e Gran Bretagna – oltre agli altri Paesi occidentali – smettano di tenere conferenze su cambiamenti climatici ed energia pulita. I pozzi petroliferi che portano miliardi di dollari, ricchezza sovrana, status politico globale e l’acquiescenza dei suoi sudditi non possono essere sostituiti da pannelli solari.

In particolare Mbs aspetta con impazienza la riabilitazione di Washington, che Biden potrebbe sigillare presto con una stretta di mano, superando per necessità lo schiaffo diplomatico ricevuto due settimane fa quando bin Salman – come il suo ex amico Mohammed Bin Zayed, principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti – si è rifiutato di rispondere a una telefonata della Casa Bianca. L’affronto delle due petro-monarchie del Golfo arriva proprio mentre Washington lavora per mantenere buone relazioni con i paesi ricchi di petrolio, poiché i prezzi del greggio hanno toccato anche i 130 dollari al barile per la prima volta in quasi 14 anni. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi sono gli unici due grandi produttori in grado di pompare milioni di barili di petrolio in più, il che potrebbe aiutare il mercato del greggio in America e in Europa mentre i prezzi della benzina stanno salendo alle stelle. Tuttavia, entrambi i Paesi hanno rifiutato di aumentare la produzione decidendo di attenersi all’attuale piano approvato dall’Opec – l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio – e da un gruppo di Stati alleati guidati dalla Russia.

Un altro fattore è la sfortunata guerra in Yemen a guida saudita, resa possibile perché Usa e Gran Bretagna hanno fornito armi e protetto il Paese dalle critiche internazionali alle Nazioni Unite. Anche se questo aiuto non ha garantito la vittoria di bin Salman, ha messo in luce l’ipocrisia occidentale quando si tratta di governanti autoritari di cui hanno bisogno: si percepisce chiaramente un doppio standard rispetto alla reazione all’invasione russa in Ucraina. Anche perché la guerra in Yemen – a cui l’Arabia Saudita ha aderito nel 2015 come capo di una coalizione contro i ribelli Houthi – è stata bollata dalle Nazioni Unite come il peggior disastro umanitario del mondo. Centinaia di migliaia di morti, tra cui secondo l’Unicef almeno 10.200 bambini. In una lunga intervista a “The Atlantic”, Mbs ha spiegato di non essere affatto preoccupato della propria reputazione all’estero. Ma dalle cosiddette democrazie ci si dovrebbe aspettare un certo livello di coerenza e di decenza, specialmente mentre si fanno conferenze al mondo sui diritti umani e sulla morale della politica estera. Mbs sta raccogliendo profitti da una crisi occidentale che si rifiuta di essere risolta: vale a dire la dipendenza dal petrolio a buon mercato dei dittatori. In questo modo, a breve termine, altri Paesi produttori di petrolio guidati da discutibili regimi – come Iran e Venezuela – potrebbero essere riabilitati.

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