La Sogin ha trasmesso al ministero della Transizione ecologica la proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), ossia la mappa aggiornata delle località (dislocate in sette regioni) che potrebbero ospitare il Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi e il parco tecnologico. E che finora hanno detto un secco ‘no’. Tanto che sono in molti a temere si possa arrivare, senza manifestazioni di interesse, a un altro tipo di iter che porti a una scelta calata dall’alto. Questa la situazione emersa durante “la più grande consultazione pubblica – ricorda Sogin – finora svolta in Italia su un’infrastruttura strategica per il Paese”, avviata il 5 gennaio 2021 con la pubblicazione della proposta di Cnapi e conclusa il 14 gennaio 2022. E proprio sulla base egli esiti della consultazione, la società di Stato incaricata della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi ha elaborato il documento trasmesso al miTe e per ora secretato. “La proposta trasmessa al miTe è stata predisposta – sottolinea la Sogin – sulla base delle oltre 600 tra domande, osservazioni e proposte, per un totale di oltre 25mila pagine di atti, documenti, studi, relazioni tecniche e cartografie, complessivamente presentate nel corso di un anno, dopo la pubblicazione della Cnapi”. Sono 67 le aree potenzialmente interessante al cantiere da 900 milioni, dislocate in sei regioni: Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna.

Lo stallo nella discussione – Negli ultimi mesi questi territori, oltre a contestare alcune informazioni fornite da Sogin, hanno manifestato una mancanza di disponibilità a ospitare il deposito dove saranno stoccati 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e molto bassa intensità e dove, temporaneamente, finiranno anche altri 17mila metri cubi di rifiuti a media e alta intensità radioattiva. Varie le ragioni addotte per rifiutare il deposito, dalla presenza di altri impianti a eventuali rischi per alcune coltivazioni agricole. La consultazione si è articolata in tre diverse fasi: dal 5 gennaio al 5 luglio 2021 Sogin ha raccolto oltre 300 osservazioni e proposte tecniche sulla Cnapi e sul progetto del Deposito nazionale, da parte dei diversi soggetti interessati. Dal 7 settembre al 24 novembre si è svolto il Seminario Nazionale, in seguito al quale sono stati pubblicati (a dicembre) gli atti conclusivi. Nove gli incontri. “Oltre alle sedute plenarie di apertura e chiusura si sono tenute sette sessioni di lavoro, una nazionale e sei territoriali – spiega Sogin – che hanno interessato le sette regioni coinvolte”. Concluso il seminario, è stata avviata una seconda fase di consultazione pubblica “durante la quale – sottolinea la società – i soggetti portatori di interesse hanno potuto presentare ulteriori osservazioni e proposte tecniche anche alla luce dei lavori svolti durante il Seminario Nazionale”.

I prossimi passaggi – Ora la parola passa al miTe che, acquisito il parere tecnico dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), dovrebbe approvare con proprio decreto la Carta, di concerto con il ministero delle Infrastrutture. Dopo l’approvazione del miTe, la mappa verrà pubblicata sui siti internet di Sogin, dei due ministeri e dell’Isin. Da quel momento in poi sarà avviata la fase di concertazione, con l’obiettivo di raccogliere le manifestazioni di interesse, non vincolanti, a proseguire il percorso partecipato da parte delle Regioni e degli Enti locali nei cui territori ricadono le aree idonee.

Le perplessità della Commissione ecomafie – A dicembre scorso, la Commissione d’inchiesta sulle Ecomafie è tornata a manifestare diverse perplessità, legate anche ai tempi di realizzazione. Sulla base di quelli previsti dalla legge (da molti considerati ottimistici) saranno necessari poco meno di quattro anni, a partire dalla pubblicazione della Cnapi, per giungere all’autorizzazione unica che consentirà l’avvio della costruzione, presumibilmente dunque non prima del 2025, del deposito destinato allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari, e all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla gestione passata degli impianti nucleari. Ma per la costruzione e l’esercizio sono attualmente previsti circa 50 anni. Nel frattempo, bisogna anche mantenere in sicurezza strutture che sarebbero da smantellare, adeguare periodicamente i depositi temporanei, trattare continuamente rifiuti immagazzinati da lungo tempo. “Ogni anno – ha ricordato il presidente Stefano Vignaroli – in media si pagano nella bolletta elettrica 300 milioni di euro per finanziare le dismissioni e per gestire i rifiuti radioattivi, compresi quelli a bassa radioattività derivanti dalle attività mediche e di ricerca. Nel 2036 arriveremo ad aver speso complessivamente circa 8 miliardi di euro”. Senza contare la progressiva diminuzione degli spazi disponibili per lo stoccaggio e il proliferare di depositi temporanei in tutta Italia.

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