Le sue reinterpretazioni letterarie sono note, ma di Caligola, l’imperatore romano passato alla storia perché simbolo della “follia al potere”, in realtà si conosce ben poco, oltre all’affascinante dimensione aneddotica. Affascinante ma imprecisa. Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, noto come Caligola, imperatore dal 37 al 41, muore un po’ meno di 2mila anni fa: il 24 gennaio del 41 dopo Cristo. La sua vita si interrompe quando ha 28 anni, per mano della Guardia pretoriana, piccolo esercito d’élite – una sorta di guardia personale – che sarebbe diventato gradualmente in quegli anni da risorsa a pericolo per il potere imperiale.

Figura controversa, Caligola è stato al centro di interpretazioni storiche e letterarie complesse. Cresce sul delicato fronte renano, in mezzo ai legionari. Sono loro a soprannominarlo Caligola, perché da bambino se ne va in giro per l’accampamento vestito da soldato e con dei piccoli calzari, le caliga.

Ha 7 anni quando muore suo padre, Germanico, uno dei generali più amati dal popolo e dall’esercito. Germanico era stato adottato dall’imperatore Tiberio su indicazione del padre, l’imperatore Augusto. E Germanico era molto fedele al padre adottivo tanto da arrivare a rifiutare la porpora dopo aver sedato una rivolta dei veterani ed essere stato acclamato imperatore dalle legioni ribelli. L’ascendente del generale inizia però a oscurare la figura di Tiberio. Viene quindi mandato in Oriente a svolgere alcune pratiche imperiali, accompagnato da Pisone, fido alleato di Tiberio.

Durante la sua missione Germanico risolve alcune questioni in una situazione di delicato equilibro: incorona un nuovo sovrano, filoromano, stabilisce la Cappadocia come provincia a sé stante, annette la Cilicia alla Siria, organizza alcuni forti militari lungo l’Eufrate, avvia negoziati con gli Stati confinanti. Ma Pisone annulla quasi tutti i provvedimenti. Di ritorno dall’Egitto verso la Siria, Germanico si sente male fino a morire. Pochi giorni prima Pisone aveva fatto ritorno a Roma. Si crede che sia stato lui, il braccio destro di Tiberio, ad averlo avvelenato.

Ma com’è che Caligola finisce imperatore? Nel corso degli anni muoiono tutti i possibili eredi al trono: Druso Minore, il figlio naturale di Tiberio, e poi Nerone Cesare e Druso Cesare, fratelli maggiori di Caligola, entrambi uccisi da Seiano, il potente prefetto del pretorio che spera nell’adozione cioè nell’adozione. Ma viene scoperto e ucciso, pure lui. Tiberio adotta anche il nipote Tiberio Gemello e Caligola, ma il primo muore. Alla fine il Senato, probabilmente anche in virtù della popolarità del padre, decide di acclamarlo Imperator.

Caligola diventa imperatore in una fase economicamente piuttosto positiva per l’impero e attinge largamente alle sue casse per radicare il suo già solido consenso popolare. Per compiacere il popolo, uno dei suoi primi atti ufficiali è quello di concedere l’amnistia ai condannati, agli esiliati da Tiberio e a tutti coloro che erano imputati in un processo. Organizza banchetti pubblici, frequenti giochi e spettacoli gratuiti e prolunga la festività dei Saturnalia. Inizia la costruzione dell’acquedotto Claudio, dell’acquedotto Anio Novus e di un nuovo anfiteatro. Porta poi a termine alcune opere pubbliche, iniziate dal suo predecessore, come il tempio di Augusto, oltre a ristrutturarne altre come il Teatro di Pompeo. Al di là della politica strettamente interna, meno lineare sembra quella riservata nei confronti degli Alleati e, tantomeno, quella estera. In particolare, il fatto che Caligola appartenesse a una famiglia di importanti comandanti militari che si erano guadagnati molta gloria, potrebbe averne influenzato il desiderio di superarne le gesta. Caligola tenta perciò non solo di conquistare i territori compresi tra Danubio e Reno, ma prepara anche una missione per varcare l’oceano e sbarcare in Britannia. Non ci riuscirà: lo ammazzeranno prima.

Già dallo stesso anno dell’avvento imperiale di Caligola, questi cada ammalato e, almeno a quanto emerge dalle fonti, iniziano a manifestarsi una serie di eccentricità. Il suo breve principato inizia infatti a essere costellato da massacri degli oppositori e da atti di governo che mirano a umiliare i senatori e l’intera nobiltà romana. Assai celebre è l’episodio del suo amato cavallo, Incitatus, che, secondo una tradizione riportata dagli storici Svetonio e Cassio Dione, Caligola si riprometteva di nominare console. Inoltre l’imperatore assumeva atteggiamenti sempre più autocratici, provocatori: inizia ad allentare sempre più i legami con le tradizioni repubblicane che inquadravano l’imperatore, almeno formalmente, come primus inter pares e inizia a reclamare onori divini sul modello delle monarchie orientali, esasperando al contempo il processo di divinizzazione degli imperatori defunti.

Al di là della storia di potere e di vita di cui qui si è dato solo un rapido assaggio, è interessante notare due aspetti: il ruolo delle fonti e il fascino letterario di Caligola. Ci sono giunte solo alcune considerazioni sull’infanzia di Caligola all’interno degli Annales di Tacito, lo storico del periodo generalmente ritenuto più rigoroso. Da un lato la penuria di fonti fa sì che Caligola sia poco conosciuto tra i diversi imperatori della dinastia; dall’altro occorre notare che Le Vite dei Cesari di Svetonio e la Storia romana di Cassio Dione rappresentano lo scritto principale da cui è possibile trarre informazioni sul suo regno. Svetonio scrisse l’opera ottant’anni dopo la morte di Caligola mentre Dione addirittura dopo 180 anni. E mentre il primo tende a focalizzare l’attenzione su aneddoti riguardanti crudeltà e follie imperiali, il secondo ci fornisce una cronologia del regno piuttosto asettica. In più, non si può non sottolineare che sia Svetonio sia Cassio Dione facevano parte di quella classe senatoria che sembra fosse stata ampiamente osteggiata da Caligola. Il tentativo, dunque, di ricostruirne le memorie, non poteva che essere influenzato da questa appartenenza sociale e politica degli storici, implicando anche molto probabili distorsioni.

Cionondimeno, resta ancora oggi una eco di fascinazione nei confronti di una figura frequentemente soggetta a reinterpretazioni artistico letterarie. Per citare una delle tante opere si pensi a quella di Albert Camus, che con una inesauribile e drammatica “febbre di aggiornamento e revisione” è stata redatta tre volte, con significative differenze, in un periodo come quello tra il 1941 e il 1944 e all’interno di un’opera che non poteva che rimandare alla contemporaneità dell’autore. Di fatto, dietro il “mostro imperiale” aleggiava il fantasma di Hitler e si faceva incredibilmente fragile e complesso l’equilibrio tra resa dell’umano, del potere, del conflitto tra interiorità e mondo, e una difficilmente definibile follia. Quel che emerge è il dipinto di uomo e la riconduzione a una universale ipoteca della condizione degli uomini che “muoiono e non sono felici”. In fondo, nella sua visione e con le stesse parole dell’autore che giocano con lo sguardo del teatro dell’assurdo: “Caligola cerca di esercitare la libertà di prendere in parola quelli che lo circondano, costringerli alla logica, livellare tutto intorno a sé con la forza del rifiuto e con la follia di distruzione cui lo trascina una sorta di passione per la vita. Ma se la sua verità è di negare gli dèi, il suo errore è di negare gli uomini. Non si può distruggere tutto senza distruggere sé stessi”.

Nell’immagine in alto | Malcolm McDowell in una scena di Caligola, film di Tinto Brass del 1979

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