“L’appello che lanciamo al governo è quello di restare neutrale quando l’ammissibilità del referendum sull’eutanasia sarà discussa in Camera di consiglio, quindi di non costituirsi in Corte costituzionale”. A rivendicarlo Filomena Gallo, segretaria dell‘associazione Luca Coscioni, nel corso del Consiglio generale a Roma, nel giorno del 15esimo anniversario della morte di Piergiorgio Welby. “Abbiamo fiducia che le pressioni dei partiti per liberarsi del referendum non saranno ascoltate, quindi da oggi lanciamo iComitati del sì‘. Chiediamo che il governo resti fuori, non può difendere una legge del 1930 del regime fascista che condanna in Italia fino a 15 anni di carcere il medico che compie quello che è lecito fare in altri Paesi come Belgio o Spagna e non solo”, ha aggiunto Marco Cappato, tesoriere dell’associazione.
Tutto mentre in Parlamento la discussione sulla proposta di legge sul suicidio assistito resta in una fase di stallo, rinviata a febbraio dopo l’inizio della discussione in un’Aula deserta. Col il rischio concreto che la stessa legge, senza modifiche, sia pure “inutile e dannosa“, ricorda Cappato, dato che che rivede al ribasso quanto già autorizzato dalle sentenze. “Per avere una buona legge bisognerebbe eliminare la discriminazione per i malati di cancro e per chi non è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale per poterli ammettere all’eutanasia e servirebbe definire dei tempi certi affinché non si ripropongano situazioni come quelle di Mario che aspetta da 16 mesi e chiede di non soffrire più“, ha aggiunto Cappato. Per poi avvertire: “Forse però è solo una finta, un segnale lanciato dai detrattori del referendum alla Corte, nella speranza che questo non venga ammesso. Ma noi abbiamo ormai incardinato nella società una lotta che è vicina a raggiungere l’obiettivo”.
“Se il Parlamento si è commissariato, anche per quanto riguarda la mia categoria, quella medica, c’è ancora tanto da fare e lavorare”, ha invece spiegato Mario Riccio, il medico che aiutò Piergiorgio Welby e per questo fu processato e poi prosciolto. “La deontologia ufficiale, sostenuta dalla Federazione dell’Ordine dei medici, non ha mai affrontato la questione e lo stesso presidente nazionale, prima della sentenza della Consulta, aveva tuonato dicendo che nessun medico avrebbe mai partecipato a un atto di morte medicalmente assistita, per poi dover in parte correggere questa linea. E nessuna associazione medica si è espressa mai a favore. Ma io credo nel dovere morale del medico di portare a morte un paziente. Perché è la medicina a creare situazioni che non esistevano in passato”, ha concluso Riccio.
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