Vincere e andare a punteggio pieno nel girone, prendendosi gli ottavi di Champions, è la miglior medicina per la Juve dopo le sconfitte di campionato. Quattro a due per gli uomini di Allegri a Torino contro lo Zenit San Pietroburgo, con le individualità juventine che trascinano i bianconeri, ma anche con qualche sbavatura che conferma come la squadra abbia qualche limite nella gestione e che la solidità marchio di fabbrica allegriano fino al 2019 non c’è fino in fondo, o almeno non ancora.
Super aggressiva la Juve fin dalle prime battute in una partita ritenuta evidentemente cruciale dai bianconeri. Certo, l’avversario è assai modesto, ma d’altronde per una squadra che in tre mesi ha perso con Empoli, Sassuolo e Verona è importante mostrare mordente proprio in questo tipo di gare. E il premio per l’atteggiamento famelico arriva subito: Dybala prima coglie un palo, poi da calcio d’angolo schiaccia un sinistro che di rimbalzo si infila nel sette al decimo minuto.
Poi però quell’atteggiamento viene incomprensibilmente meno e uno Zenit che offre poche emozioni se non la suggestione nostalgica di un Mostovoy in campo (neppure parente di quell’artista che col Celta pure fece molto male alla Juve di Ancelotti) si ritaglia spazi di campo e trova il pareggio fortunoso con un cross deviato nel sette da Bonucci. Ed esaurita la foga iniziale il primo tempo ricorda pericolosamente le ultime uscite della Juve: Morata evanescente e la ricerca di un colpo che la sblocchi, esponendosi al rischio ripartenze e beffe.
Ma nel secondo tempo i bianconeri ritrovano la verve aggressiva: l’anima della Juve è Dybala che ci prova, si danna, sbaglia il rigore concesso per fallo su Chiesa ma l’arbitro gli offre la possibilità di ripetere per i troppi giocatori russi in area sulla prima battuta, e allora non sbaglia e riporta in vantaggio la Juventus. Poi i bianconeri ancora una volta lasciano il campo agli avversari, ma stavolta solo per poco: McKennie fa le prove generali prendendo la traversa, Chiesa con una sua azione tipica va via in velocità e realizza il 3 a 1. Ed era la serata giusta anche per ridare il sorriso a Morata, che infatti segna il 4 a 1, ritrovando il gol dopo 40 giorni.
Alla fine il gol del 4 a 2 dell’iraniano Azmoun in un’altra delle pause juventine, comprensibile tuttavia perché a fine gara e col match ormai in tasca. Va bene, benissimo, anche se sono da limare le pause che la squadra si prende, e che magari con lo Zenit sono indolore ma già contro provinciali di Serie A, no. Serve ritrovare solidità: a volte dietro si balla anche su situazioni non pericolosissime e soprattutto a volte sembra scemare la concentrazione che poi è stata una delle armi vincenti del primo ciclo di Allegri, quella tendenza a non mollare un millimetro che poi secondo i supporters bianconeri sarebbe venuta meno con Sarri e Pirlo (e in particolare proprio in Champions). E anche immaginare idee, soluzioni che non siano il coniglio dal cilindro di Dybala o le iniziative di Cuadrado e Chiesa, ma su questo non sarà d’accordo Allegri, si sa: fino al 2019 ha avuto ragione lui. E stasera pure, domani si vedrà.