Aiuti umanitari per l’Afghanistan, ma nessun riconoscimento formale dell’attuale governo. Sono questi i risultati dei colloqui, che si sono tenuti negli scorsi due giorni a Doha in Qatar, tra Stati Uniti e talebani. I primi dal ritiro delle truppe americane. Entrambe le delegazioni si sono dette soddisfatte, anche se rimangono ancora molte questioni aperte, soprattutto per Washington: dal neonato Emirato islamico sono arrivate solo vaghe rassicurazioni sui diritti umani e sull’impegno ad arginare il terrorismo. Ancora nessuna apertura però a una collaborazione diretta contro Al Queda o l‘Isis-K, anche dopo il recente attacco kamikaze alla moschea sciita di Kunduz, che ha provocato oltre 60 vittime e un centinaio di feriti.

“Gli incontri sono andati bene”, hanno fatto sapere Kabul: i talebani li hanno definiti “una grande opportunità” e sperano possano ripetersi presto. I colloqui sono stati “franchi e professionali” – ha ribadito il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Ned Price – anche se i talebani saranno “giudicati per le loro azioni, non per le loro parole”. Sul tavolo la “piena applicazione” dei precedenti accordi di Doha – negoziati con poco successo dall’amministrazione Trump, prima del ritiro delle truppe americane dello scorso 15 agosto – ma soprattutto l’emergenza umanitaria in Afghanistan. Da settimane circa 18 milioni di cittadini hanno bisogno di assistenza – secondo la Federazione internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa (IFRC) – a causa della siccità, della pandemia e della mancanza di denaro dovuta alle conseguenze economiche del recente conflitto.

Le razioni donate dal Pakistan – attraverso il confine di Chaman – non sono sufficienti: l’Emirato ha chiesto aiuti, “non vincolati ad accordi politici”, anche a Washington e ad altre organizzazioni occidentali. In cambio i talebani permetteranno il “libero movimento di soggetti stranieri” nello Stato e lavoreranno perché la consegna avvenga ”in modo trasparente”, senza il dirottamento dei fondi e la corruzione del ventennio precedente. Agli Usa – riferiscono media afghani vicini ai mullah – è stato chiesto anche sbloccare i fondi della Banca centrale di Kabul congelati, dopo la presa di potere talebana, all’estero (circa 9 miliardi di dollari), per lo più proprio nel loro territorio. Non si conoscono però ancora gli esiti di questa trattativa.

Riguardo agli altri temi in gioco, l’incontro è stato decisamente meno risolutivo. Sui diritti delle donne e delle minoranze il portavoce del ministro degli Esteri, Abdul Qahar Balkhi, aveva già chiarito la posizione dell’Emirato: “Quello che chiediamo è di avere tempo. Questo processo avverrà gradualmente – ha detto in un’intervista ad Al Jazeera – in questo momento la nostra priorità è stabilizzare il Paese dopo 40 anni di guerra. Non vogliamo interferenze nei nostri affari interni, come noi non interferiamo in quelli degli altri”. Per ora saranno garantite “tutte le libertà assicurate dall’Islam“, cioè al momento molto poche. La politica sembra la stessa anche per l’impegno contro il terrorismo: “Siamo in grado di affrontare Daesh (l’Isis) autonomamente” ha affermato il portavoce Suhail Shaheen in un’intervista all’Associated Press. Per il momento una cooperazione con Washington è esclusa, ma gli studenti coranici – al momento all’esecutivo – garantiranno che il paese non sia la base per gli attacchi da parte di estremisti verso altri Paesi. L’avvertimento agli Usa però è stato chiaro: “Abbiamo detto chiaramente che cercare di destabilizzare il governo dell’Afghanistan non fa bene a nessuno – ha dichiarato il ministro degli Esteri, Amir Khan Muttaqi all’agenzia afghana Bakhtar – Alla parte statunitense è stato chiesto di non creare problemi alla popolazione”. Nonostante questo, l’intenzione a intrecciare relazioni diplomatiche internazionali è evidente. Prossimamente i talebani incontreranno a Doha anche una delegazione dell’Unione Europea.

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Certo che di fifa verso i ‘Saraceni’ nel nostro Paese ce ne deve essere stata tanta!

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