Sulla transizione energetica nel settore dell’automotive il ministro Roberto Cingolani schiaccia il pedale del freno. E non è la prima volta. L’ultima uscita del membro del governo che guida il dicastero che dovrebbe occuparsi della rivoluzione green nel Paese, in linea con le direttive europee, si scaglia proprio contro il pacchetto Ue sul clima: “In questi giorni stiamo parlando con il settore automotive – ha spiegato il ministro parlando al seminario estivo della Fondazione Symbola – C’è una grandissima opportunità nell’elettrificazione. Ma ieri è stato comunicato dalla Commissione Ue che anche le produzioni di nicchia, come Ferrari, Lamborghini, Maserati, McLaren, dovranno adeguarsi al full electric entro il 2030. Questo vuol dire che, a tecnologia costante, con l’assetto costante, la Motor Valley la chiudiamo“.

La posizione di Cingolani farà contente le grandi case automobilistiche produttrici di macchine sportive e gli appassionati del genere affezionati al rombo dei motori a benzina, ma crea un punto di scontro tra il governo e la linea tracciata dall’Europa per accelerare, anche in tema di trasporti, la transizione energetica, nei giorni in cui le conseguenze dei cambiamenti climatici tornano drammaticamente sotto gli occhi di tutti dopo le violente alluvioni che hanno devastato Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo. “Se noi oggi pensassimo di avere una penetrazione del 50% di auto elettriche d’emblée – ha poi aggiunto il ministro – non avremmo neanche le materie prime per farle, né la rete per gestirla. Su un ciclo produttivo di 14 anni, pensare che le nicchie automobilistiche e supersport si riadattino è impensabile“.

Cingolani, nel corso del suo intervento, ha poi allargato alle difficoltà di far passare quello che a suo parere è l’approccio corretto alla transizione ecologia: “Quello su cui vedo delle difficoltà in più è sulla riconversione, senza fare troppe vittime e mettere 200mila famiglie per strada, di certi comparti industriali che, se la transizione non è fatta bene, pagheranno un prezzo enorme – ha aggiunto – Da questo punto di vista, la grande sfida che abbiamo è quella di vincere lo scontro ideologico che si sta combattendo attorno alla transizione energetica ed ecologica, uno scontro che non vuole scendere a patti con la realtà. Non credo ci sia qualcuno che mette in dubbio l’importanza di cambiare la direzione e di fare più in fretta possibile la transizione, però credo che ci siano alcuni che mettono troppi veti su tutta una serie di tecnologie che invece in un menù completo devono essere inserite”. Una posizione sposata ieri anche dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, secondo cui la transizione verde non deve essere uno “shock” sul sistema economico italiano, ma bisogna “consentire alle nostre aziende di adeguarsi alle nuove sfide senza subire cali occupazionali o addirittura fallimenti delle aziende”.

Non solo sulle auto si è potuta verificare, però, la strategia prudente del ministro Cingolani. A inizio giugno, ad esempio, lo stesso titolare del dicastero si era scagliato contro la direttiva europea Sup contro l’utilizzo della plastica monouso. In quell’occasione, il ministro aveva definito “assurdo” il divieto di utilizzare anche carta monouso che contenga materiali plastici. “Per l’Ue va bene solo la plastica che si ricicla – aveva detto – Questo a noi non può andar bene. L’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima, solo quella riciclabile. Tutte le altre, anche se sono biodegradabili o sono additivate di qualcosa, non vanno bene”. Poi è arrivata la notizia che la Commissione stava valutando, per i prodotti misti, un criterio di calcolo basato sul peso della plastica che contengono. Come dire che un piatto compostabile ricoperto da una sottile pellicola di plastica o una tazzina da caffè plastificata sarebbero considerati “poco inquinanti” perché quello strato di polimero pesa poco. E questo cambio di rotta ha fatto addirittura esultare, oltre a Matteo Salvini, colui che all’interno del governo dovrebbe spingere in favore della transizione green: “È un esempio di ottima discussione, dell’Europa bella. Hanno capito il nostro punto di vista – aveva detto al Corriere – Abbiamo dato respiro alle nostre aziende, la sostenibilità è un equilibrio tra istanze diverse“. Cioè quelle dell’ambiente e di Confindustria, pronta a paventare la chiusura di “centinaia di aziende” del settore con l’entrata in vigore della direttiva europea Sup.

Infine, le trivelle. Ad aprile era emerso che il ministro aveva firmato sette decreti di Valitazione d’impatto ambientale (Via) che riguardavano altrettanti rinnovi di concessioni, progetti di messa in produzione di pozzi e di perforazione, sia su piattaforma sia onshore, scatenando la reazione delle organizzazioni ambientaliste. Tra i primi a segnalare la firma c’erano Re:Common e i Fridays For Future che l’hanno definita “una vergogna senza fine”, commentando “e la chiamano transizione ecologica”, pur ricordando che non si tratta di concessioni minerarie”. Una situazione dalla quale Cingolani ne era uscito sostenendo che si trattava, di fatto, di una presa di coscienza su una decisione già adottata: “Quelle trivelle erano già lì. C’erano delle autorizzazioni, le ho trovate, erano state completate, non posso fare una operazione scorretta, ne abbiamo semplicemente preso atto. Non c’è nessuna trivella nuova. Non le ho autorizzate io“.

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