Si aggiunge un nuovo capitolo nella complessa vicenda giudiziaria sulla morte di Carlotta Benusiglio trovata impiccata con una sciarpa ad un albero, a Milano, il 31 maggio 2016. Dopo la richiesta di rinvio a giudizio per Marco Venuti, il fidanzato della donna accusato di omicidio volontario e il cui arresto è stato negato da gip, Riesame e Cassazione, per gli inquirenti serve una nuova perizia medico legale in incidente probatorio per accertare le cause della morte della stilista 37enne. La pm Francesca Crupi ha presentato l’istanza alla gup Raffaella Mascarino, davanti alla quale il 6 luglio si aprirà l’udienza preliminare. Il difensore di Venturi, Andrea Belotti, si è opposto alla richiesta osservando che una perizia in indagini ha già accertato che si trattò di suicidio.

A febbraio era arrivato l’ultimo no da parte della Cassazione alla richiesta d’arresto per omicidio di Venturi in un’indagine ormai aperta da 5 anni (il fascicolo è stato ereditato dal pm Crupi dopo che ha lasciato Milano il pm Gianfranco Gallo che aveva riaperto le indagini). La Procura chiede una “nuova e più accurata analisi istologica e istochimica dei campioni contenenti materiale biologico della vittima” per accertare la “vitalità o meno delle lesioni” sul collo. E in più valutazioni sulla “sindrome di Eagles” che il pm Gallo inserì nell’imputazione come causa che avrebbe accelerato il soffocamento. E ulteriori analisi sulle “caratteristiche del nodo e delle modalità di avvolgimento della sciarpa” che fu trovata attorno al collo della 37enne.

In un’articolata memoria, la difesa di Venturi (anche col legale Veronica Rasoli) si oppone all’istanza (dovrà decidere il gup) facendo notare che la Procura “fa riferimento a presunte carenze della perizia” svolta in indagini, riportata anche dal gip che respinse l’arresto per “mancanza dei gravi indizi di colpevolezza“. Venturi ha vissuto una parabola giudiziaria: da persona informata sui fatti, col fascicolo in via di archiviazione, a indagato per istigazione al suicidio fino ad accusato di omicidio perché avrebbe ucciso simulando un suicidio. Secondo la perizia del 2018, la donna morì “con grande probabilità” a causa di una “asfissia prodotta da impiccamento” e sul cadavere, riesumato, non c’erano “lesioni scheletriche” riconducibili ad un “eventuale strangolamento, parziale o totale, con successiva sospensione del corpo”. Agli atti sono finiti anche i risultati delle consulenze affidate ad esperti dai familiari (legali Gian Luigi Tizzoni e Pier Paolo Pieragostini). La difesa scrive che il pm “omette di considerare che nel corso della perizia sono state svolte, in ampia collegialità, tutte le analisi scientifiche e tecniche sulla vitalità delle lesioni”. Si tratta di nuove indagini su fatti “ampliamente esplorati” e chieste dopo “oltre tre anni” dall’ultima perizia.

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